Quasi un tour operator su tre dice di aver ridotto la programmazione in Italia per difficoltà legate all’imposta di soggiorno. Il dato arriva dall’osservatorio sulla tassa curato dalla società Jfc, che – tra le altre cose – si occupa di consulenza e marketing turistico. Un italiano su quattro spiega di tener conto del balzello al momento della prenotazione; questo mentre aumentano i Comuni che lo applicano e il gettito complessivo.
Jfc ha intervistato 81 tour operator attivi in decine di Paesi, dalla Germania all’India. Il 63% dice di aver subìto danni economici a causa dell’imposta, di cui spesso ha dovuto farsi carico l’azienda stessa. Il 17% sottolinea di aver concentrato l’attività in località dove il tributo è assente; il 28% spiega di aver diminuito la programmazione in Italia per problemi legati alle modalità di applicazione della tassa. Ogni Comune può decidere se applicarla e quanto far pagare: il massimo consentito dalla legge è cinque euro a notte per ogni cliente. Nel 2013 la media era un euro e 35 centesimi (dato Federalberghi).
L’effetto sui turisti
A Roma si spendono due euro, a Firenze due e 70 centesimi, a Venezia due e 90. Cifre a cui gli italiani guardano con attenzione, secondo la rilevazione Jfc. Solo il 17% si dice indifferente alla presenza dell’imposta; il 27% assicura di tenerla in considerazione quando sceglie dove andare; il 13% spiega di evitare del tutto i luoghi in cui viene applicata. La fetta più ampia, però, è l’ultima: per il 43% il giudizio dipende dalla quota fissata dal municipio.
Massimo Feruzzi, responsabile dell’osservatorio sulla tassa, sottolinea che «il problema primario non è tanto la sua applicazione in quanto tale: se ben gestita in maniera omogenea, può permettere alle amministrazioni locali di effettuare investimenti in ambito turistico. Il punto è che mancano strategie per annullare lo spirito di de-feeling che il tributo può generare». Non basta, insomma, dire sì al balzello: bisogna ricordarsi che scoraggerà parte dei visitatori, e trovare il modo di contrastare quest’effetto.
La svolta in Trentino
Di sicuro ai Comuni l’imposta piace sempre di più. A fine 2012 quelli che la applicavano erano quasi 380; a metà 2013 circa 470; lo scorso gennaio è stata superata quota 500. Si tratta di circa il 7% dei municipi che possono percorrere questa strada, cioè quelli che hanno almeno un esercizio ricettivo. Secondo Federalberghi crescono sia il gettito medio dei singoli municipi (450mila euro due anni fa, 525mila nel 2013), sia quello complessivo: dai 175 milioni del 2012 si è passati a circa 270 lo scorso anno. Jfc stima che a fine 2014 si possa andare oltre i 380 milioni.
REGIONE | COMUNI IN CUI SI PAGAVA A FINE 2013 |
Toscana | 103 |
Piemonte | 98 |
Valle d’Aosta | 57 |
Lombardia | 48 |
Campania | 33 |
Veneto | 32 |
Sicilia | 23 |
Calabria | 22 |
Puglia | 18 |
Emilia-Romagna | 17 |
Lazio | 14 |
Sardegna | 11 |
Marche | 8 |
Liguria | 4 |
Basilicata | 4 |
Abruzzo | 3 |
Umbria | 3 |
Molise | 2 |
Trentino-Alto Adige | 0 |
Friuli Venezia Giulia | 0 |
Dati dell’Osservatorio Nazionale sulla Tassa di Soggiorno
La regione con più municipi coinvolti è la Toscana (oltre 100), seguita da Piemonte (98) e Val d’Aosta (57). In coda Abruzzo, Umbria e Molise, e quest’anno rischiano di sparire le aree “tax-free”: non lo sarà più il Trentino, che lo era fino a dicembre, e il tributo potrebbe comparire per la prima volta anche in Friuli. E nel resto d’Europa? Federalberghi ricorda che questo tipo di imposta è assente in Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Svezia e Malta, ma è presente in Germania, Francia, Austria e Catalogna. Importo massimo, due euro e 25 centesimi a persona per notte. La metà del tetto previsto dalla legge italiana.