Il mandato è chiaro, preciso, netto. Nonché duplice. Nella sua prima audizione al Congresso Janet Yellen, chairwoman della Federal Reserve, ha reiterato ciò che aveva già detto il suo predecessore, Ben Bernanke. Il ritiro della liquidità erogata tramite il Quantitative easing (Qe) sarà graduale, a patto che ci siano le condizioni economiche per continuare questa strada. Questo è il primo messaggio, quello esplicito. Poi c’è il secondo, più nascosto. Ovvero che sono i Paesi emergenti a doversi adattare alla politica monetaria della Fed, non viceversa.
«Stiamo monitorando a vicino la situazione nelle economie emergenti, e continueremo a farlo». Parlando di fronte al Congresso, la Yellen ha manifestato rispetto, non timore, per gli Emergenti. «Osserveremo accuratamente se le riforme nel campo della regolamentazione saranno implementate come annunciato», ha aggiunto. Parole pesanti, non usuali per definire la posizione della Fed nella fase di exit strategy dal Quantitative easing, la politica monetaria espansiva che ha contribuito a sostenere l’economia americana dal fallimento di Lehman Brothers a oggi.
I moniti del Fondo monetario internazionale (Fmi) non sono serviti. È dallo scorso maggio che il Fmi rammenta alla banca centrale statunitense che l’assottigliamento del Qe può urtare la crescita delle economie emergenti. Drenando la liquidità, la Fed espone i Paesi che hanno ingenti riserve valutarie in dollari statunitensi a rischi tanto nel breve quanto nel lungo periodo. Secondo la banca anglo-asiatica HSBC «il taper della Fed può ridurre le prospettive di crescita di Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) e Mikt (Messico, Indonesia, Turchia, Corea del Sud) nei prossimi due anni». Lo stesso allarme lanciato dal Fmi. Inoltre, con l’innalzamento del tasso d’interesse dei Treasury decennali, quantificato in 100/150 punti base dall’istituzione di Washington, la vulnerabilità dei Paesi emergenti potrebbe aumentare a dismisura. Allo stesso tempo, non si deve sottovalutare che, insieme al taper del Qe, arriverà anche un aumento del principale tasso d’interesse della Fed. In pratica la fine della Zero interest rate policy (Zirp), la politica monetaria di tassi prossimi allo zero, potrebbe essere anche peggio dell’assottigliamento del Qe.
Quello che succederà nei prossimi mesi nei mercati emergenti è ancora tutto in divenire. Gli investitori internazionali temono che si possa verificare la tempesta perfetta: hard landing della Cina, mancato riequilibrio del settore finanziario di India e Brasile, fallimento nel ribilanciamento della liquidità globale, trasmissione del contagio ai Paesi subemergenti. Se avvenisse anche solo uno di questi eventi, sia Stati Uniti sia eurozona vedrebbero una riduzione della domanda esterna capace di influenzare la crescita economica in un momento nel quale tutto si desidera tranne una frenata per le economie sviluppate. Per ora le istituzioni economiche internazionali hanno rivisto al rialzo, o stanno rivedendo in queste settimane, le stime di crescita per i prossimi anni, pur sottolineando che rimangono elevati rischi al ribasso. Molto dipende, per l’appunto, dalla politica della Fed. Riuscirà quindi la Yellen a non destabilizzare la situazione? Solo il tempo darà una risposta.
L’altra grande domanda per gli investitori riguarda i recenti sussulti di Brics e Mikt. La vulnerabilità delle economie emergenti potrà contagiare quelle sviluppate? È la domanda che si stanno ponendo in tanti. Nel breve periodo il contagio sembra scongiurato, complice una relativamente bassa esposizione delle banche e delle imprese della zona euro, per esempio, alle società finanziarie dei Paesi emergenti. Ma nel lungo, come ricorda Nomura, «è probabile che ci sia una forma di contagio basata sul commercio internazionale o sul mercato valutario». Non è ancora chiaro infatti che tipo di trasmissione delle malversazioni degli Emergenti si potrà avere, ma è probabile che questa avvenga in qualunque caso. L’importante, spiega la banca giapponese, è che le banche centrali inizino una collaborazione che finora è mancata.
Quello che deve preoccupare è infatti la mancanza di coordinamento fra le autorità monetarie mondiali. Come ha spiegato pochi giorni fa il governatore della Reserve Bank Of India, Raghuram Rajan, sarebbe ottimale l’introduzione di una sorta di cabina di regia globale per la politica delle banche centrali. Secondo l’economista indiano non è infatti possibile che si pensi che l’assottigliamento del Qe sia una misura a sé stante, non influente sull’economia globale. Le scelte della Fed possono impattare sull’economia globale. Pertanto, come spiega anche Goldman Sachs, servirebbe una migliore organizzazione delle policy. Osservando ciò che sta avvenendo fra le economie emergenti e quelle sviluppate, la strada attuale è quella sbagliata. L’importante è capirlo in fretta.