C’erano migliaia di persone in piazza, domenica 16 febbraio, a Roma: uomini, bambini e donne di tutte le età, famiglie, nonni, bambini, ragazze. Non erano però elettori in fila davanti ai gazebo per le primarie (si sceglievano i segretari regionali del Pd) a sostegno di Matteo Renzi, ma la folla accorsa sotto la tensostruttura di Piazza Vittorio, per le figurine dei Calciatori attirate dalla formula accattivante del Panini tour: vieni in piazza, scambia, divertiti, e noi ti regaliamo dieci figurine mancanti a tua scelta. Apriti cielo.
La reazione delle piazze toccate dal tour, con in testa Roma, è stata stupefacente: gente in coda dalle otto del mattino (la distribuzione iniziava alle dieci!), prati brulicanti di famigliole, mamme con la penna tra i denti per aggiornare la mancolista, ragazzi con il computer accesi per depennare i doppioni dai file, meccanismi di baratto da borsa e da asta che crescevano in maniera esponenziale, con le quotazioni che salivano di minuto in minuto , spesso grazie alla maestria del giovane banditore (ovviamente modenese). Forse, questo successo sorprendente, trasfigura un evento che nasce come promozionale e diventa di costume, forse questa festa è figlia della primavera, ma forse diventa anche un segnale della possibile ripresa, una lezione per tutti.
Mi ha colpito questa parabola: la Panini ha investito un milione di euro nel tour – una cifra enorme – ma con questa scelta ha difeso in tempi di crisi un fatturato e un mercato preziosi: due milioni e mezzo di collezionisti accertati, di cui quasi la metà sono adulti, dieci milioni di fatturato solo l’hanno scorso, continue ristampe quest’anno. Ma la scelta che fa fare il salto di qualità, quella che produce un ritorno immenso, è rinunciare alle campagne pubblicitarie tradizionali per portare la gente nelle piazze e accoglierla. Tutti possono partecipare, il tendone ospita tavolini per gli astanti, tutti ricevono un piccolo regalino (la dote delle dieci figurine, se sopravvivono alla fila), e gli eroici che riescono a completare l’album, sono ammessi al rito simbolico della pubblica spunzonatura dell’ultima pagina (si celebra tra applausi e gridolini del fortunato, sotto la scritta Calciatori), con ulteriore omaggio: le spille e il gagliardetto (andato esaurito pure quello per l’affluenza imprevista).
(Nella foto di Walter Breveglieri, ragazzi che giocano con le figurine negli anni Sessanta)
Se in quel giardino avesse potuto passeggiare la penna alata di uno scrittore alla Balzac, avrebbe di certo potuto ambientare in quello scenario un capitolo della sua commedie humaine: nel mondo delle figurine si distinguono i maniaci, gli ossessivi, i generosi, gli ordinati, gli estroversi, e sono in svantaggio i disordinati, gli scorbutici e gli avari. Le figurine diventano, per due giorni, una vera e propria moneta alternativa, una valuta locale: gli scudetti (quest’anno telati) valgono di più, e soprattutto valgono di più le figurine della squadra della città ospitante (nella tappa capitolina, ovviamente, lo scudetto della Roma era quotato a cento figurine, e l’esemplare più richiesto ai banchi era Totti).
La piazza del Panini tour mette d’accordo le generazioni (i padri, in preda alla sindrome Peter Pan, sono spesso più assatanati dei figli), dei sessi (le bambine collezioniste sono la vera novità), esalta gli scambiatori utili, ad esempio i nonni che in piazza dicevano: «Sto completando sei liste di mancanti per i bambini del mio palazzo». Nel tempo della virtualità totale, i Calciatori, e la scelta di portare la gente in piazza sono il più grande antidoto contro il senso di depressione che è il veleno più pericoloso della crisi: più che una festa, un human social network.