Nessun happy ending per Mt.Gox, la prima borsa al mondo per i bitcoin. Come riportato per la prima volta da Dow Jones, Mt.Gox ha presentato domanda di protezione dalla bancarotta alle authority di Tokyo, dove ha sede. In pratica, qualcosa di molto simile a ciò che il 15 settembre 2008 fece Lehman Brothers. Dal punto di vista formale non si tratta ancora di bancarotta, ma il passo è breve. In qualunque caso, gli analisti sono concordi: Mt.Gox scomparirà a breve. Non è chiaro se ci saranno gli stessi effetti avuti con il collasso di Lehman Brothers, seppur parametrati all’universo della criptovaluta creata da Sathoshi Nakamoto nel 2009. Ciò che è sicuro è che la fiducia dei correntisti in bitcoin ha subìto un colpo quasi da ko. Anche perché i risvolti dell’affaire Mt.Gox sono ancora tutti da definire.
I problemi del colosso dei bitcoin sono iniziati a fine gennaio. Alcuni clienti si erano lamentati con la società in quanto non erano più possibili i prelievi di denaro. «Si tratta solo di un temporaneo problema tecnico», aveva chiarito Mt.Gox. In realtà, si trattava del preludio della più colossale malversazione, anche se qualcuno, come Forbes, la chiama già truffa. Sono svaniti nel nulla 744.408 bitcoin dei clienti e poco più di 100.000 del conto di negoziazione proprietaria, per un controvalore in dollari statunitensi di circa 500 milioni. Non poco, dato che dalla piattaforma in questione passano, o meglio passavano l’80% delle transazioni in bitcoin mondiali. Se si pensa che ogni giorno il volume degli scambi in bitcoin e altre divise è pari a circa 60.000 bitcoin, facile comprendere la rilevanza della perdita patita da Mt.Gox. Di qui, la decisione a sorpresa di fare bancarotta. Secondo la documentazione presentata a Tokyo, i debiti di Mt.Gox sono pari a 63,6 milioni di dollari. Una cifra modesta, se si pensa in valori assoluti, ma significativa, se si considera il contesto di riferimento. Le avvisaglie, c’è da specificare, c’erano tutte.
Negli ultimi giorni, senza preavvisi, il sito è stato messo offline. Inoltre, sono stati cancellati tutti i tweet pubblicati dall’account ufficiale. E se è vero che due indizi possono essere una coincidenza, è arrivato presto il terzo, quella dell’evidenza. Mentre i detentori di bitcoin con un conto su Mt.Gox iniziavano a preoccuparsi, l’amministratore delegato della società, Mark Karpeles, si rendeva irrintracciabile, salvo rassegnare le dimissioni dalla Bitcoin Foundation. Karpeles si è fatto vivo dopo oltre 24 ore di silenzio, specificando due cose: che l’intero business di Mt.Gox era a un punto di svolta, che tutto quanto successo era derivante da un attacco hacker e che, invece di fuggire come aveva insinuato qualcuno, era ancora in Giappone. Ora è palese che il punto di svolta era la bancarotta.
Il prossimo passaggio sarà quello legale. Se sarà presentata ufficialmente istanza di fallimento, è facile che i creditori si scaglino contro la società, nel tentativo di riavere indietro parte dei quasi 750.000 bitcoin scomparsi nel pozzo che ha preso il nome di Mt.Gox. Speranza vana, fa notare il fondo hedge Greylock in una nota di commento all’accaduto. Tuttavia, non sembrano esserci altre soluzioni al momento. La piattaforma di negoziazione, ha spiegato la società in un comunicato stampa, è stata irrimediabilmente compromessa e non è chiaro se, complice il danno d’immagine generatosi, possa riprendere la sua normale attività. Soprattutto, bisognerà scandagliare nella vita di Karpeles e dei vertici di Mt.Gox alla ricerca di evidenze che il furto sia stato causato davvero da un attacco hacker e non da una distrazione forzosa da parte dei dipendenti della società.
Il collasso di Mt.Gox può minare al futuro della criptovaluta per eccellenza? Difficile dirlo. Dopo l’esplosione della bitcoin-mania, che per certi versi ha tutte le caratteristiche di una bolla, bisogna capire gli effetti. La chairwoman della Federal Reserve, Janet Yellen, ha spiegato ieri che fra i poteri della banca centrale statunitense non c’è la regolamentazione dei bitcoin e del suo universo. Una stroncatura di fatto, per ora. Anche perché, nonostante il caso Mt.Gox, la vita per la valuta elettronica più celebre continua. Proprio oggi a Singapore è stato aperto il primo bancomat per bitcoin. E, come ricorda anche la banca nipponica Mitsubishi, è difficile che si possa fermare la corsa dei bitcoin. Una volta conclamato che si è trattato di una concomitanza di fattori – furto, errori di progettazione della piattaforma, incompetenza del singolo – è possibile che gli utilizzatori dei bitcoin continuino a ritenere la criptovaluta foriera di vantaggi. «Non riteniamo che sia la morte dei bitcoin o delle monete virtuali in generale, è più un evento che ricorda il crac di MF Global, il quale non ha distrutto alcun mercato», ha scritto Mitsubishi. Per completezza, MF Global è stato uno dei più grandi broker finanziari della storia. Guidato da Jon Corzine, ha dichiarato fallimento il 31 ottobre 2011, dopo un colossale mix di inefficienze contabili, errori nella pianificazione degli investimenti e inadeguatezza manageriale, finita con il trasferimento dei fondi dei conti dei clienti su quelli della società al fine di evitare una bancarotta ormai inevitabile.
Il caso Mt.Gox, tuttavia, ha acceso i riflettori sulla sicurezza delle valute virtuali. Nel caso si fosse trattato davvero di un hackeraggio, e non di un mero furto, come è possibile per i correntisti in bitcoin tutelare i propri investimenti? Qual è la borsa di negoziazione e conversione più sicura? La guerra informatica sulle criptovalute è appena iniziata. E sullo sfondo ci sono le authority di vigilanza. Chi può controllare su eventuali malversazioni contabili delle società operanti in bitcoin? Come proteggere chi detiene bitcoin? Le risposte del numero uno della Fed, la Yellen, lasciano intendere che il campo deve ancora essere arato. Ma a fronte del possibile primo fallimento ufficiale di una Borsa operante in bitcoin, è lecito attendersi l’avvio di una discussione normativa che invece non è ancora iniziata.