Il profilo inconfondibile dell’ex segretario Pd si affaccia nell’Aula di Montecitorio quando mancano pochi minuti alle 16. Il dibattito sulla fiducia al governo va in scena da circa sei ore. Appena riconosciuto Pierluigi Bersani, dai banchi di tutto l’emiciclo esplode fragoroso l’applauso. Cravatta rossa e completo scuro, il grande avversario delle primarie 2012 di Matteo Renzi si guarda attorno con un sorriso. Il presidente del Consiglio si alza e lo saluta. Tutti in piedi – fanno eccezione i Cinque stelle – i deputati continuano a battere le mani.
Passa appena mezz’ora, fa il suo ingresso in Aula l’altro avversario di Renzi. Il più recente. Enrico Letta entra dal lato destro dell’Aula, sfila davanti ai banchi del governo squadrando i ministri. La distanza con il segretario Pd è ancora più evidente. Come già accaduto durante la cerimonia della campanella a Palazzo Chigi, Letta non degna il suo successore neppure di uno sguardo. Si dirige invece da Bersani, che saluta con un caloroso abbraccio.
A quel punto il Partito democratico si scioglie in una lunga ovazione. La scena sarebbe da antologia, se non si avvertisse un po’ troppo il retrogusto ipocrita. Non tanto dei due protagonisti, segretario e vicesegretario democrat all’epoca delle ultime elezioni. I due sono evidentemente legati. Piuttosto per i tanti parlamentari del Partito democratico che di lì a poco inizieranno una lunga processione verso Enrico Letta, dispensando con uguale intensità sorrisi e strette di mano. Alcuni sono sinceri. Ma in buona parte sono gli stessi che lo hanno sfiduciato nella Direzione di due settimane fa.
Per Matteo Renzi forse è la prova più difficile da quando è entrato in Parlamento. Già provato dal lungo dibattito, il presidente del Consiglio è costretto ad assistere alla sfilata dei rottamati più illustri. La metafora del carnefice costretto a guardare le sue vittime è brutale, ma calzante. Più che un voto di fiducia, la seduta sembra un romanzo. Intanto la scena prosegue.
Enrico Letta cerca posto in Aula. Trovato occupato il suo abituale scranno, alla fine è costretto a sedersi al tavolo del comitato dei nove. Ironia della sorte si trova proprio di fronte al nuovo governo. È davanti al presidente del Consiglio, distante solo pochi metri, ma lo ignora. Renzi china la testa sul cellulare, leggendo l’ennesimo sms della giornata. Il gelo è palpabile. Quando poco dopo il deputato dem Dario Nardella – braccio destro di Renzi – prende la parola e cita «il governo di Enrico Letta, che saluto e ringrazio», il diretto interessato neanche si volta.
Sconfitti e coraggiosi, Bersani e Letta hanno deciso di non mancare all’appuntamento. L’ex segretario torna alla Camera dopo il grave malore che lo ha colpito quasi due mesi fa. «Sono venuto per votare la fiducia e abbracciare Enrico, ancora non è arrivato?», spiega ai deputati che gli si fanno attorno. Renzi lo ringrazia su Twitter. «Un gesto non scontato, per me particolarmente importante». Letta vive l’incontro con meno diplomazia. Evidentemente non ha ancora digerito la manovra di palazzo che gli è costata il governo. E così ascolta algido l’intervento di Renzi. Evita con cura ogni applauso, limitandosi a battere le mani al termine dell’intervento (a dire il vero piuttosto poco convintamente).
Dicono che l’ex presidente del Consiglio partirà presto per l’Australia. Una lunga vacanza con la famiglia per mettersi alle spalle le delusioni degli ultimi mesi. Non sceglie il silenzio Bersani, che chiacchierando con i giornalisti Transatlantico non risparmia una frecciata a Renzi. «Benché mi pare che questo governo non abbia tra le sue qualità migliori l’umiltà, è pur sempre un governo che ha bisogno di aiuto e questo aiuto bisognerà darglielo». Nessuna ipotesi di scissione. «Il Pd reggerà» ripete Bersani. Diverso il giudizio politico sul nuovo governo. «Da domani saranno gli italiani a misurare lo spread tra le parole e i fatti». Nel Partito democratico il nuovo corso è davvero iniziato.