L’arresto di Luigi Bisignani si abbatte inesorabile sulla partita per il rinnovamento delle nomine nelle grandi aziende di Stato, le ormai note “600 poltrone”, da Eni a Finmeccanica, da Enel a Terna, da Cosap fino al Coni o all’Istituto Poligrafico di Zecca dello Stato (qui la lista completa). Il faccendiere finisce ai domiciliari nell’ambito di un’inchiesta della procura di Roma su presunte irregolarità legate all’affidamento di appalti per la sicurezza delle comunicazioni informatiche di Palazzo Chigi. L’accusa è di frode fiscale. «L’uomo che sussurra ai potenti» viene così bloccato nel suo lavoro di comunicazione e di lobbista, in una delle fasi più delicate per la storia della Repubblica italiana: quella della sostituzione di un blocco di potere, tra boiardi e boiardini di stato, ormai consolidatosi sotto il potere di Silvio Berlusconi e ora in balia delle decisioni del premier in pectore Matteo Renzi. Dopo che lo stesso ministero dell’Economia ha stabilito che «le nomine dei componenti degli organi sociali delle società direttamente o indirettamente controllate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sono definite da un pacchetto di norme organiche con l’intento di stabilire processi trasparenti orientati a una selezione basata su merito e competenza nonché onorabilità e professionalità».
Ma secondo chi lo conosce bene, Bisignani era molto attivo negli ultimi tempi. La «rete» del faccendiere, amico del padre costituente ex Dc Giulio Andreotti era tornata operativa, tra suggerimenti, consigli e pressioni con i potenti di turno. Aveva cercato più volte di mettersi in contatto con gli uomini che stanno seguendo per il segretario del Pd il valzer delle nomine, cioè il braccio destro e sinistro del rottamatore, Luca Lotti e Marco Carrai. Ora non potrà più farlo: per una persona che in passato era ricorso persino a apparecchi elettronici per evitare intercettazioni durante chiacchierate importanti si tratta di una mazzata in piena regola. «Fine delle comunicazioni» sentenzia un esperto di apparati dello Stato. Del resto, Bisignani è stato sempre protagonista indiscusso in queste fase così calde per la Repubblica. Lo ha raccontato lui stesso nel libro scritto insieme al giornalista Paolo Madron. E lo ha ribadito in vari interrogatori a cui è stato sottoposto nel corso degli anni, tra inchieste più o meno importanti, dalla P2 a Tangentopoli fino alla P4.
L’inchiesta sugli appalti di palazzo Chigi nasce da quella sulla P4, dove Bisignani ha chiesto il patteggiamento, ricevendo una condanna a un anno e sette mesi per reati come associazione per delinquere, favoreggiamento, rivelazione di segreto e corruzione. Nella motivazione dell’ordinanza di custodia il gip Anna Paola Tomaselli spiega in un documento di 63 pagine le ragioni del provvedimento. E per quanto riguarda Bisignani, con riferimento agli appalti per i servizi di informatizzazione di palazzo Chigi, sottolinea che l’ex piduista «ha svolto una delicatissima e fondamentale funzione di intermediario e di garante, al fine di garantirsi il compenso pattuito per lo svolgimento di tale attività di lobbing, senza esitare a fare mettere dalla società a lui riconducente, cioè la Four Consulting e all’uopo creata le fatture relative a prestazioni inesistenti». Ma soprattutto, si legge, i precedenti casi giudiziari, inducono a ritenere Bisignani, «soggetto dotato di una spiccata pericolosità sociale, con la conseguenza che il pericolo di reiterazione dei fatti contestati appare quantomai concreto e attuale».
I Bisi-boys sono molti, inseriti nella varie aziende di stato. Diversi si trovano in Eni, il colosso petrolifero italiano, il cane a sei zampe, che Bisignani in una telefonata a Italo Bocchino intercettata nel 2010 definiva «l’ente più grosso», parlando proprio di nomine. Non è una novità che dal rinnovo di Paolo Scaroni come amministratore delegato dipendano gli equilibri del potere politico, economico e finanziario in Italia. Il manager vicentino si è molto speso nelle ultime settimane per chiedere una conferma a Renzi. Ne ha decantato spesso le lodi. Ora, però, l’amicizia di lunga data con Bisignani potrebbe rappresentare un’ulteriore motivo per allontanare Scaroni da San Donato. Il faccendiere arrestato è infatti di casa nell’Eni sin dal 2005, da quando Vittorio Mincato fu allontanto per far posto all’ex amministratore delegato di Enel per volere di Silvio Berlusconi e Gianni Letta.
Bisignani vanta conoscenze dal direttore generale Stefano Lucchini (era suo capo in Montedison ndr), ad Agnese Fusco, capo della segreteria di Scaroni. Ma in particolare il rapporto diretto è proprio con l’attuale amministratore delegato. L’8 marzo del 2011, durante l’inchiesta P4, il manager vicentino, fu interrogato da Henry John Woodcock proprio in merito alla sua amicizia con quello che nei brogliacci delle intercettazioni viene definito come «il coach», il «capo», addirittura «il padrino». Diceva Scaroni: «Ho conosciuto il Bisignani negli anni ’70 presentato da tale ingegnere Agostino Rocca, amico del padre del Bisignani per il quale il Bisignani faceva la rassegna stampa; da allora ho sempre visto il Bisignani ad intermittenza dal momento che ho vissuto molto all’estero; da quando sono rientrato in Italia lo vedo molto di più. Con Bisignani ho un forte legame di famiglia, abbiamo casa sull’Argentario entrambi e le nostre famiglie si conoscono».
Richiesta di custodia cautelare per Bisignani
Woodcock all’epoca fece domande molto precise a Scaroni, tra cui quali fossero e quali sono stati i rapporti tra Bisignani e l’Eni, e prima tra Bisignani e l’Enel. «Le risulta» chiese il pm inglese di stanza a Napoli «che il Bisignani si sia “speso” per farle ottenere le suddette nomine?». Risposta di Scaroni: «Io ho lavorato dal 1996 al 2002 in Inghilterra, a quell’epoca vedevo il Bisignani due o tre volte all’anno; fino a quell’epoca avevo visto Berlusconi una sola volta nella mia vita. Nel 2001 Bruno Ermolli (consulente finanziario milanese molto legato a Berlusconi) incontrò mia moglie ad un ricevimento e gli disse di farmi vivo quando sarei tornato in Italia; quando tornai in Italia, nel 2001, Ermolli mi portò ad Arcore; qualche mese dopo Bruno Ermolli mi chiamò e mi disse che Berlusconi mi voleva vedere a Roma; andai a Palazzo Grazioli e Berlusconi mi propose di fare l’ad dell’Enel; eravamo nell’aprile del 2002. In quel contesto intensificai i rapporti con Berlusconi, Tremonti, Matteoli e con l’allora ministro dell’Industria Marzano».
E rispetto alla prima nomina in Eni quasi 9 anni fa spiegò: « Nella primavera del 2005 Berlusconi mi chiamò e mi propose di fare l’ad dell’Eni; in quel contesto mi chiese pure chi avrei visto bene io come mio successore all’Enel, e io gli dissi Conti. Nel 2005 sono stato nominato ad dell’Eni e nel 2008 sono stato rinnovato. Per ciò che riguarda il Bisignani vi dico che almeno a me non risulta che il Bisignani stesso si sia speso e sia intervenuto per farmi ottenere la suddette nomine. Se lo ha fatto lo ha fatto a mia insaputa. Certamente a Berlusconi il mio nome lo ha fatto, per primo Bruno Ermolli». Sulle nomine pubbliche si gioca anche parte dell’accordo sulle riforme tra Renzi e Berlusconi. I due ne avrebbero parlato più volte, soprattutto con il fidato Denis Verdini. Negli ambienti di Eni si pensava che Scaroni sarebbe stato rinnovato anche per questo motivo. Ma dopo l’arresto di Bisignani sono in tanti a tremare. Non solo nell’«ente grosso».