Per abbassare il cuneo fiscale a doppia cifra la spending review non basta. Carlo Cottarelli, il commissario per la revisione della spesa voluto dall’esecutivo Letta, ha individuato 4 miliardi disponibili subito dal taglio degli sprechi nei consumi intermedi della Pa e dei sussidi alle imprese, tra cui le partecipate pubbliche. Risorse funzionali a tagliare l’Irap del 10 per cento, lasciando che sia il blocco naturale del turnover a ridurre l’elefantiaco personale della Pa. È l’idea di Yoram Gutgeld, ex dirigente della società di consulenza McKinsey, ora parlamentare Pd, e consigliere della prima ora del premier rottamatore: razionalizzare la macchina della Pa e dei servizi per non tagliare posti di lavoro, recuperando due punti di Pil. Eppure, come sottolinea citando Eurostat il “civatiano” Filippo Taddei, collaboratore de Linkiesta e responsabile economico della segreteria Pd, la spesa per gli organi dello Stato assorbe un punto di Pil in più rispetto alla Gran Bretagna, lo 0,8% in più della Spagna. Nota bene: un punto di Pil equivale a circa 16 miliardi di euro.
Secondo i calcoli del Palazzo, le riforme che Renzi ha promesso per i prossimi mesi comporterebbero una manovra dai 50 ai 70 miliardi di euro. Il problema non è dove trovarli, ma quanto personale pubblico sacrificare per farlo. Soltanto i dipendenti del Comune di Roma sono 26mila e costano 1,2 miliardi l’anno. Per non parlare della voragine delle municipalizzate dell’Urbe: i trasferimenti pubblici al settore viabilità e trasporti nel 2012 ha toccato quota 1,4 miliardi. La capitale è tutt’altro che un’eccezione: le controllate da Regioni, Province e Comuni sono 6mila, meno di un terzo (2.879) hanno chiuso il bilancio 2012 in utile, mentre le tariffe sono salite del 49,2% negli ultimi dieci anni, contro una media Ue del 15 per cento. Il Renzi liberista della Leopolda versione 2011 aveva proposto di privatizzare le municipalizzate. Il Renzi presidente del Consiglio sa che rottamare tali poltronifici è quantomeno lungo e macchinoso.
Eppure c’è un altro modo per abbassare le tasse ai cittadini: eliminare gli enti inutili, che secondo un calcolo dell’Unione delle province (altri enti inutili), costano 7 miliardi di euro – di cui 2,5 per remunerare i consigli d’amministrazione – 10 miliardi per il Codacons. Consorzi, agenzie regionali, enti autonomi, intercomunali, di promozione, per la tutela del riso, della gondola, degli aviatori, delle ville vesuviane, dei popoli ladini, chi più ne ha più ne metta. Contarli è difficile, cancellarli impossibile. Tant’è che ci si prova dal 1956, anno della primo disegno di legge per il loro riordino. Da allora il tema è tornato in auge con altrettante proposte nel 2002, 2007, 2008, 2009 e 2010. Affossate dagli emendamenti.
L’ex ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, nonostante le fanfare, ne ha eliminato soltanto lo 0,06 per cento. Mario Monti voleva chiuderne 40, su 500 censiti, per un totale di 353 poltrone. Non ci è riuscito. L’ex ministro per le Semplificazioni Roberto Calderoli – che puntava all’eliminazione degli enti non economici con meno di 50 dipedenti – ne aveva addirittura contati 30mila, calcolo ripreso dall’ex presidente dell’Inps Antonio Mastraspasqua, che in un’intervista al Messaggero sosteneva come eliminandoli si sarebbero prodotti i risparmi necessari ad evitare la razionalizzazione del pubblico impiego.
In principio c’era l’Iged, l’ispettorato del ministero dell’Economia deputato alla liquidazione degli enti inutili, composto da 300 persone. Una legge del 2006 ne ha spacchettato le funzioni tra l’Ispettorato generale delle Finanze in seno alla Ragioneria generale dello Stato – competente sulla parte amministrativa – mentre a Fintecna, controllata dalla Cassa depositi e prestiti, è andata dal 2002 la gestione di un centinaio di pratiche liquidatorie. Tuttavia, come conferma una fonte interna a Linkiesta, Fintecna– destinata a scomparire nei prossimi mesi – non ha mai ricevuto un mandato oltre alla gestione delle liquidazioni ex Iged.
A fine ottobre l’Istat ha pubblicato l’elenco degli enti che pesano sul bilancio dello Stato, tra cui il Consorzio di solidarietà di Nuoro, il Consorzio del Lario e dei laghi minori, l’Istituto regionale ville tuscolane. E l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Si tratta dell’ex Ice, l’istituto per il commercio con l’estero soppresso dal decreto legge 98/2011 del governo Berlusconi, resuscitato da Monti con un nome diverso e con una dote di 100 milioni di euro fino all’anno scorso. Una struttura che, per quanto dimagrita a 300 dipendenti – retribuzione media annua lorda 43mila euro – è di fatto un doppione di Simest e Sace. Senza alcun obiettivo preciso.