Perché lo scherzo de la Zanzara a Barca è giornalismo

La telefonata con il finto Vendola

C’è qualcosa di esemplare, nell’ennesima beffa de la Zanzara, nello squarcio politico giornalistico che uno strepitoso imitatore – il solito Andro Merku – armato dalla luciferina regia di Giuseppe Cruciani e David Parenzo, con voce mimeticamente vendoliana, riesce a illuminare. In primo luogo va detto che non hanno alcun senso le lamentele di quelli che dicono stizziti «Ma questo non è non è giornalismo!», che considerano in qualche modo irricevibile il contenuto di una telefonata carpita violando la privacy. E invece il punto è un altro: sarà bello, sarà  brutto, sarà irriguardoso nei confronti di Fabrizio Barca, ma una notizia è una notizia, a prescindere dal modo in cui salta fuori. 

L’uso dell’imitatore, insomma, nulla cambia sulla sostanza politica del caso. Negli anni scorsi era diventato un vero e proprio genere letterario il fuori onda televisivo, che poi è la stessa cosa della telefonata maliziosa: parole dal sen fuggite, registrate nell’inconsapevolezza del protagonista diventano notizia. Si potrebbe poi aggiungere, che il mondo, e il retroscena che la telefonata del finto Vendola a Barca rivela, non è un dialogo con un imitatore, ma quasi un monologo, una sorta di autointervista: l’identità di Vendola, per l’ex ministro è poco più che un pretesto per innescare un lungo flusso di autocoscienza in cui lui stesso si fa le domande e si dà le risposte. Sul piano della qualità umana Barca si mostra allo stesso tempo egotico e disinteressato. Turbato, lusingato, spaventato, indignato.

Poi però, va aggiunta un’altra cosa: se sicuramente questa è la verità soggettiva di Fabrizio Barca, non è detto che sia indubitabilmente la verità. E mi spiego: la cosa più interessante della telefonata è la Zanzara non sono i fatti che Barca racconta a sostegno della sua tesi e su cui fra poco entreremo nel dettaglio, ma lo stato d’animo che ci restituisce, il mood. Quello che la Zanzara riesce a fotografare, dunque, non è una pistola fumante che sia la prova di chissà quale complotto (perché qui di complotti che non ce ne sono ), né da parte di Carlo De Benedetti, né da parte di Matteo Renzi. Ma piuttosto il contesto, ovvero quella preziosa visione dello scenario che Leonardo Sciascia ha elevato categoria letteraria.

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Faccio un esempio: a me sembra davvero strano, cosa di cui Barca invece è convinto, che il sondaggio Internet de la Repubblica, sia uno strumento usato dall’editore del gruppo L’Espresso, per far pressione su di lui. E ho anche qualche dubbio, che sia legittimo interpretare le telefonate della Lucia Annunziata, che è una giornalista, che ovviamente fa il suo mestiere, per cercare di avere delle notizie e delle indiscrezioni, come se si trattasse delle avances di un ambasciatore. Ma invece è assolutamente vero il quadro che emerge da questa percezione di Barca: quello cioè di un governo in alto mare, di una lunga catena rifiuti incassati in queste ore, in cui tanti possibili ministri, per un motivo o per un altro, ma soprattutto per il grande clima di incertezza, e per il modo in cui si è arrivati alla designazione del premier, rifiutano. Forse rifiutano per ambizione, al contrario di quel che sembra, piuttosto che per umiltà. 

La frase che mi colpisce di più, quindi, è quella sulla patrimoniale da 400 miliardi, che Barca vorrebbe, e che ovviamente è impossibile, per la presenza determinante in maggioranza del nuovo centrodestra. Così come l’altra affermazione davvero inquietante, e quella per cui, secondo l’ex ministro quando tra 30 giorni, gli italiani scopriranno che non c’è niente, chissà cosa accadrà. Ovviamente, ci auguriamo che questa impressione venga smentita, o corretta da un colpo di reni. Ma dopo questa telefonata, in ogni caso, nulla sarà più uguale a prima: se non altro per il giornalismo politico.

(il sondaggio sul sito internet de la Repubblica, risultati al 18 febbraio)

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