Perché Renzi rischia di autorottamarsi

Ore decisive per il governo

Da rottamatore a presidente del consiglio via rimpasto, la strada è lunga e rischiosa. Il primo pericolo lungo la scalata di Renzi a palazzo Chigi senza passare dalle elezioni è puramente comunicativo, che oggi come oggi è come dire politico in senso stretto. Una manovra come questa potrebbe colpire al cuore la sua immagine di uomo nuovo, estraneo ai giochi di potere, per quanto possa esserlo uno che punta prima o poi a governare in una democrazia occidentale e non sparare ultrasuoni per anelli mancanti dell’evoluzione su un blog che vende dvd e senso di superiorità morale. Il problema di un Renzi  alle prese con un ribaltone è che “Non sono l’uomo dei palazzi, mi hanno solo messo qui” non suona esattamente come “l’Italia Cambia Verso”. 

E Renzi è Renzi anche perché è in grado di sbattere i pugni sui tavoli romani sapendo che il suo asset fondamentale è l’immagine che ha presso il resto del Paese. È un politico che convive abbastanza felicemente con la sua percezione, cosa che dovrebbe essere come andare in bicicletta per chi sceglie questo lavoro ma in realtà fa di lui un albino nel Kenya del centrosinistra italiano. 

Il ribaltone non è necessariamente qualcosa di anti-democratico come lo si descrive spesso, siamo pur sempre in un sistema parlamentare e non presidenziale, eppure è stato caricato, talvolta strumentalmente, di tanti e tali significati negativi nel dibattito degli ultimi anni che stupirebbe vedere un animale politico come Renzi non cogliere il rischio contenuto nell’essere associato a una simile pratica. 

Forse il sindaco di Firenze spera di farla dimenticare a un popolo storicamente poco sensibile ai formalismi democratici attraverso un’azione di governo incisiva, ma le possibilità di entrare a palazzo Chigi ora, formare un nuovo governo e fare riforme di sostanza sembrano più un bluff che altro, e questo è il secondo grande pericolo sulla strada del ribaltone. 

Come potrebbe Renzi incidere stando alla guida di una maggioranza d’emergenza, affollata di lunghe lame nascoste dietro la schiena, o composta in buona parte di persone saldamente decise a perseguire solo il proprio interesse personale? Scopo alla luce del quale, non è il caso di dimenticarlo, ora i più sarebbero disposti a propiziare la sua salita al trono. 

In questo momento Renzi è il leader forte in grado di comunicare che l’elettorato esangue del PD stava aspettando da anni, e più in generale l’uomo designato a mettere fine alla stagione dei tecnici e delle grande intese, riportare il gioco politico pienamente nell’alveo democratico dopo un periodo anomalo, vincere le elezioni e governare per una legislatura intera fermando l’ondata para-fascista del partito azienda di Grillo e quello dell’Highlander Berlusconi.  Tutte cose che non si possono fare arrivando a Palazzo Chigi con una manovra di potere. 

L’immagine della politica italiana è talmente compromessa da incapacità, corruzione e disinteresse per le sorti del Paese, che nessun progetto serio di rinnovamento può avere speranza di successo senza passare da un’investitura popolare chiara e, per quanto possibile, perentoria. Questo nonostante i timori dei mercati e la volontà di Napolitano di cercare di impedire il più possibile nuove consultazioni democratiche. 

L’unica via percorribile per giungere a un nuovo e più virtuoso (per un usare un eufemismo) bilanciamento fra le ineliminabili ambizioni dei singoli politici nel gioco parlamentare e i bisogni sempre più urgenti e drammatici dei cittadini, variabile da troppo tempo eliminata dall’equazione di governo, rimangono le elezioni.

Renzi sa bene anche che proprio la sua immagine di decisore votato al cambiamento, qualsiasi esso sia, si consuma in fretta nel fuoco dell’insoddisfazione degli italiani. Se fra un anno dovesse ritrovarsi ancora a raccontare le storie del nuovo Pignone e delle biblioteche di Firenze con la disoccupazione giovanile oltre il 40%, la sua voce assomiglierebbe sempre più a quella di un Veltroni, un politico capace di entusiasmarvi solo se siete una notte bianca o un leggio con sfondo bucolico. 

Se alle volte nella vita bisogna avere pazienza, la verità è che bisogna anche poterselo permettere. Il dilemma di Renzi è tutto qui. 

Renzi è quindi nella poco invidiabile situazione di sbagliare sia se si muove troppo in fretta, ma anche se si fa logorare lanciando ogni due giorni un appello inascoltato al governo, strali ai quali Letta risponde infastidito, tirando dritto per la sua strada di liquidatore fallimentare.  Gli appelli al cambio di passo per Letta sono destinati inevitabilmente a scontrarsi contro quella ragnatela d’interessi privati trasversali cucita pazientemente per anni e che lo ha portato a Palazzo Chigi,. Una commistione trasversale il cui potere in molti sembrano sottovalutare in questi giorni. 

Aspettarsi cambi di direzione politica da Letta significa ostinarsi a non capire chi si ha di fronte, la sua storia e come abbia fatto a finire dov’è.

In questa fase la soluzione ottimale per Renzi sarebbe cambiare la legge elettorale e tornare in fretta al voto, parlamento e Napolitano permettendo. Il che però è più facile a dirsi che a farsi. 

Forse risolverà la situazione prendendo le redini del governo, facendo grandi dichiarazioni di pragmatismo scout e qualche provvedimento ad effetto puntando nel frattempo al bersaglio grosso: la legge elettorale.  Potrebbe non avere alternative ma i rischi di una simile scelta, come detto, sono evidenti. 

La questione, vista per una volta dal Paese e non dalla prospettiva del nuovo leader, riguarda anche la capacità di ricominciare a ragionare su cicli più lunghi e orizzonti geopolitici più ampi. Per quanto ci sia bisogno immediato di governo non ci si può nemmeno consegnare a quella dittatura dell’emergenza che da sempre è la strategia migliore per mantenere lo status quo e il potere di ricatto delle consorterie locali. Il progetto politico di Renzi, con tutti i suoi limiti, può esplicitarsi nella sua presupposta radicalità solo attraverso un respiro temporalmente più ampio; passando invece da un governo traballante di qualche mese il rischio di farsi del male e ridursi all’irrilevanza dell’ennesima promessa mancata è alto. 

E per quanto il destino di Renzi come leader possa anche non scaldare i cuori, il problema vero è che fallito il suo esperimento rimangono Grillo e Berlusconi. 

Le armate del male, sostanzialmente.

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