Il ritorno in grande stile di Mosca sul palcoscenico internazionale avrà pure buon esito a Sochi, dove la grandezza della Russia si celebra secondo il narcisismo di Putin. Ma non regge proprio su fondamenta granitiche. Perché al di là delle Olimpiadi – disegno politico-sportivo che tra qualche giorno sarà consegnato alla Storia – i piani di rinascita del Cremlino passano attraverso altri progetti, primo fra tutti quello dell’Unione euroasiatica, alleanza economica tra varie repubbliche dell’ex Unione Sovietica che dovrebbe partire in pompa magna all’inizio del prossimo anno. Ma i sogni del Cremlino rischiano di scontrarsi con la realtà.
L’idea putiniana di creare un grande spazio economico postsovietico che sotto l’ombrello di Mosca faccia da contrappeso a Bruxelles ha iniziato a concretizzarsi due anni fa, quando nel gennaio 2012 si è aperto lo spazio economico comune (Ces) dell’Unione Doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan. Il grande balzo dovrebbe arrivare nel 2015 con la partenza vera e propria della Eau (Unione Economica Euroasiatica), che al momento vede come membri le tre ex repubbliche della Ces, altre tre candidate (Armenia, Kirghizistan e Tagikistan), e una con lo status di osservatore, ossia l’Ucraina.
Potenzialmente si tratta di un mercato di 230 milioni di abitanti, poco più della metà dell’Unione europea su una superficie cinque volte più grande.
Il problema per Putin è che mettendo insieme una mezza dozzina di economie deboli è difficile che ne esca una forte. Almeno sul breve periodo e soprattutto alle condizioni attuali. Sono molti infatti i punti interrogativi, economico-finanziari e politici, che pesano sul progetto dell’Unione euroasiatica e che in queste settimane sono stati evidenziati dalle turbolenze che hanno scosso i mercati e i sistemi valutari di Ucraina e Kazakistan, ma non solo.
A Kiev, in seguito alla crisi politica che si protrae ormai da tre mesi e che forse si sta avviando a una soluzione, la grivnia è costantemente sotto pressione ed è scesa al minimo storico contro il dollaro. La fuga di capitali verso l’estero è stata una delle conseguenze di una situazione che non è tornata ancora alla normalità ed è ancora ricca di incognite. Il Paese, che non ha ancora recuperato pienamente dopo il tonfo del 2009 (pil –15%) è quasi all’orlo del collasso e sebbene a dicembre la Russia abbia assicurato aiuti finanziari per circa 15 miliardi di dollari e una bolletta del gas più leggera, il rimescolamento politico della carte sul tavolo della politica potrebbe condurre a nuovi cambiamenti. È vero che il Fondo monetario sarebbe pronto a intervenire, ma le debolezze strutturali dell’economia ucraina rimangono.
Stesso dicasi del Kazakistan, dove la scorsa settimana la Banca centrale ha svalutato il tenge del 19%. Trainata da un’economia centrata sulle esportazioni di petrolio e gas (le risorse naturali fanno metà del pil e due terzi dell’export), Astana è in difficoltà sia per questioni interne, che per la congiuntura del mercato valutario internazionale. Il tentativo di rilanciare la competitività nei confronti del rublo russo, anch’esso da tempo in caduta (circa il 6% dall’inizio del 2014) è uno dei motivi principali che hanno indotto alla mossa improvvisa che ha provocato un leggero shock tra la popolazione.
Dalla volatilità dei mercati potrebbe essere colpita anche la Bielorussia, l’anello più debole dell’Unione doganale, con il rublo bielorusso che già con la crisi del 2011 aveva già subito enormi contraccolpi, svalutato a ripetizione nel giro di pochi mesi.
Le difficoltà finanziarie di Russia, Kazakistan, Bielorussia e Ucraina – con quest’ultima che non è ancora parte integrante della Eau, ma senza la quale il progetto di Putin sarebbe privato di un ingranaggio fondamentale (il secondo mercato, con 45 milioni di abitanti) – si sovrappongono inoltre alle incertezze politiche di regimi ibridi, formalmente democratici, ma con caratteristiche autocratiche, che si riflettono inevitabilmente nella gestione dei sistemi economici.
Il successo del progetto dell’Unione euroasiatica, che lo stesso Putin ha detto di voler integrare con quello dell’Unione europea, creando quello spazio economico da Lisbona a Vladivostok di cui aveva parlato già nel 2010, è legato insomma a diversi fattori che impediscono ora di stimarne le reali potenzialità. Un po’ come è accaduto negli anni Cinquanta nel Vecchio continente con i primi passi titubanti verso la Comunità europea.