Ho conosciuto Giorgio Stracquadanio quando lavoravo a Il Mattinale, il “centro studi” inventato da Paolo Bonaiuti per Silvio Berlusconi e la classe dirigente di Forza Italia. Giorgio era tra le intelligenze più lucide e vivaci di quella squadra. E fin dalle nostre prime telefonate di lavoro mi era apparso per quello che è: una persona solare, speciale, disponibile, umile.
Alla fine di ottobre scorso, alla vigilia della partenza per una vacanza a Istanbul, mi chiama e dice: «Mi hanno riscontrato un tumore ai polmoni con metastasi alle ossa. Volevo che fossi tra i primi a saperlo: ho intenzione di combattere e terrò informati gli amici sulle mie condizioni. Quando vuoi vieni a trovarmi a Milano». Ci sono stato a Milano e ho sempre trovato un combattente, quello che tutti conoscono anche se, forse, superficialmente.
In un mondo politico infestato da amebe e parassiti, Giorgio Stracquadanio nel 2008 mi telefona: «Voglio fondare una testata online per combattere una battaglia culturale durante questa nuova legislatura». Gli rispondo: «Giorgio, ti avevo chiamato per proporti la medesima idea, partiamo». E siamo partiti, direttore responsabile e direttore editoriale. Nel 2008 nasce Il Predellino. Ricordo ancora la prima cena, per dare l’avvio all’iniziativa. Quanta tensione, quanta voglia di cambiare l’Italia.
Era questo il demone buono che ispirava l’azione politica di Giorgio Stracquadanio, intellettuale vero, liberale e liberista: cambiare in meglio il nostro Paese. È stato questo il senso della sua convinta adesione al progetto politico di Silvio Berlusconi. Lui che odiava soprattutto due categorie, ipocriti e tiepidi, colse l’assurdità delle accuse a Scajola per la compravendita della casa al Colosseo. Giorgio anticipò di anni la verità emersa in sede processuale. Nel 2010 disse, inascoltato, che solo una grande battaglia politica per una riforma presidenziale avrebbe salvato l’Italia e dato nuovo vigore al centro destra.
È stato trascurato e mai valorizzato perché parlava di idee e valori e non chiedeva posti né tantomeno ricattava. Il Predellino chiuse perché nel Pdl spendevano soldi per le iniziative più inutili, ma non per un progetto editoriale che macinava lettori, avvicinava giovani e persone di cultura, comunicava efficacemente e che non costava, perché pagava tutto Stracquadanio. Ricordo bene l’entusiasmo e l’apprezzamento dei diplomatici stranieri nel nostro Paese che capivano finalmente Berlusconi leggendo Il Predellino.
È stato lui – verità censurata – a suggerire a Berlusconi, in un memorabile pranzo a palazzo Grazioli, la mossa esplosiva dell’abolizione dell’Ici nella formidabile campagna elettorale del 2006 e lui dietro la svolta dell’intervento di Confindustria a Vicenza. Era lo spin doctor del Cav? Era certamente lo spin doctor di tanti colleghi giornalisti e di tanti ministri. Come un altro grande intellettuale dell’avventura di Forza Italia, Baget Bozzo, sapeva leggere gli avvenimenti in sincrono: per lui politica estera e interna, economia e sicurezza nazionale, filosofia e storia si legavano e si tenevano. Prima di tutti gli altri aveva colto il fallimento della politica economica di Giulio Tremonti. Un fallimento che consisteva, innanzitutto, nel non corrispondere affatto alla linea di un governo di centro destra.
Giorgio amava i dubbi e cercava sempre di dissiparli con metodo. Ha insegnato a tanti che bisogna andare al cuore dei problemi: studiare e analizzare prima di parlare e non accettare mai il confronto sullo spartito deciso unilateralmente dai propri avversari.
È stato più berlusconiano di Berlusconi, ma un berlusconiano intelligente, colto, nella realtà moderato. Lui ex radicale, io cattolico papista, ci siamo sempre intesi alla perfezione. Giorgio aveva una piena e consapevole idea di Paese e ciò lo rendeva un politico maturo e tondo. Con Isabella Bertolini e Souad Sbai ha combattuto le battaglie per un’integrazione giusta ma contraria all’assurdità dello ius soli, la cittadinanza da supermarket che voleva la sinistra insieme a una destra nostalgica delle note di «Faccetta nera».
Berlusconi lo ha deluso perché non ha realizzato la rivoluzione liberale, ma Giorgio ci ha lasciati senza trovare un nuovo leader capace di convincerlo. E ricordarlo nel modo giusto significa ricordare chi era: un intellettuale di centro destra originale e spiritoso, vivace, giovane e frizzante, mai naftalinico o con la puzza sotto il naso. È forse anche per questa ragione che la stampa di centro destra – che come è noto predilige soggetti mollicci, invasati decerebrati o semplici paraculati – non lo ha mai adeguatamente valorizzato, preferendogli anche, perché no, qualche ex comunista che dopo aver fatto fortuna a sinistra ora la fa a destra.
Ciao Giorgio, sei stato un grande amico e un grande maestro e, scusa, sai, ma per noi sei vivo più che mai con la tua voce squillante, la tua intelligenza famelica, il tuo cuore generoso e la tua passione incontenibile.