In un provocante paper del 2012, rivisto e ampliato nel febbraio del 2014, Gordon – esperto di crescita di lungo periodo, mostra i dati più attendibili che gli storici dell’economia sono riusciti sin qui a stimare sulla crescita del prodotto dalla fine del Medioevo in avanti. Il grafico mostra la cosiddetta frontiera di produzione efficiente (sebbene ad essere pignoli chi scrive crede che nel 1400 questa fosse forse l’Italia e non UK). Secondo le stime, ovviamente soggette ad alto margine di errore, almeno fino all’inizio del 1700 la crescita del prodotto medio pro-capite non si è discostanto da un misero +0,2%.
Gordon descrive brevemente le caratteristiche di quelle che gli storici chiamano le tre rivoluzione industriali, la prima dal 1750 al 1830 fondata sulla scoperta del motore vapore, la seconda dal 1870 fino al 1900 centrata sull’invenzione dell’energia elettrica, i cui effetti so sono poi poderosamente manifestati fino al 1970, rendendo possibile il grande aumento di qualità della vita (nelle case, nel lavoro, nelle città) che tutti conosciamo. La terza è di solito associata alla rivoluzione del web.
Ebbene Gordon, soprattutto nel paper appena pubblicato dalla NBER (Febbraio 2014), sembra molto critico sulla portata di tale innovazione. I dati sembrano chiaramente denotare un rallentamento della crescita dai picchi della prima parte del XX secolo. A mero titolo di esempio le invenzioni che Gordon intravede nel futuro, basate sulla biomedica del DNA, sui Big Data, sull’automazione dei mezzi di trasporto (a mero titolo esemplificativo) secondo lui non hanno il potenziale della grande trasformazione nella produzione per esempio apportata dall’energia elettrica.
Nella scienza medica, secondo Gordon, i passi in avanti dal punto di vista della medicina sul fisico non sono accompagnati da altrettante innovazioni nella medicina mentale. Il rischio è quello di avere sì una popolazione che vive più a lungo, ma in uno stato protratto di incapacità mentale. Provocante ma non improbabile. Per i Big Data, Gordon pensa che la legge di Moore applicata alla quantità di dati sia del tutto irrelevante rispetto alla variabile fondamentale su cui dovrebbe agire: la produttività oraria. Le maggiori innovazioni nel campo, smartphone e tablet che consumano quantità di dati esorbitanti, sembrano coincidere con una crescita della produttività striminzita, almeno sin qui. I Big Data hanno mostrato avere rendimenti altamente decrescenti, e sembrano essere un gioco a somma zero. Si pensi alla finanza o al settore aereo: ad un utilizzo intensivo dei dati per creare vantaggio competitivo rispetto alle imprese concorrenti, segue una risposta di queste ultime che ha come solo obiettivo quello di riportare la situazione all’equilibrio precedente.
È ben lontana la forza propulsiva dell’energia elettrica che ha aumentato la “torta da spartirsi” per tutte le imprese. Insomma un paper davvero provocatorio, forse troppo tecno-pessimista, ma un must per chi si interessa di economia della crescita e non solo della penultima recessione.