Diciamola così: hanno perso tutti e due, è stata una ordalia web che non ha lasciato né vincitori né vinti. Ma ormai è sempre più chiaro che, al di lá della divertente disputa da fantacalcio su chi ha vinto e chi ha perso, il confronto in streaming tra Beppe Grillo e Matteo Renzi, ieri, ha sfatato un ultimo illusorio luogo comune, un inganno ricorrente, ha dimostrato una verità lampante: la presunta democrazia diretta sempre più spesso si riduce a una bufala. La verità profetica della Rete, spesso ventilata come un dogma, ieri era palesemente un falso.
Mi spiego: a mio parere nel duello in streaming hanno perso sia Beppe Grillo che Renzi. Il primo, con la sua foga monologhistica, ha fatto del male soprattutto a se stesso: eravamo lì tutti in attesa di sapere come il premier incaricato avrebbe risposto a quella selva di accuse, ed è stato lui stesso ad impedirlo. Mentre Renzi è stato brillantissimo nelle sue due battute più ficcanti (quella geniale sulla prevendita e quella per cui “sei un incrocio tra Gasparri e la Biancofiore”), ma si è confrontato essenzialmente sul terreno a lui più sfavorevole: doveva essere campione delle istituzioni, e invece ha avuto la debolezza, o la presunzione, di voler combattere Grillo con gli strumento della satira. Mio figlio che ha sette anni ed è un bambino attento al galateo, ha simpatizzato per Renzi, e ha osservato – come molti italiani democratici e politicamente corretti – che “Grillo non fa parlare nessuno”. Ma come avrà reagito, invece, l’Italia della rabbia? Grillo ha puntato sulla pancia profonda del Paese, sul popolo del vaffa. E proprio a quelli ha parlato.
Ma se per un attimo lasciamo perdere la contabilità da ring, bisogna riflettere su cosa era, e su come invece si è trasformata, l’illusione della diretta web. Alcuni sognatori la immaginavano come uno strumento di verità, ma in realtà, lo streaming è diventato uno strumento di falsificazione della realtà. Il media è il messaggio, diceva Mc Luhan, e ieri il frammentismo della pillola ha prevalso su tutto il resto: lo streaming della politica non è una rivelazione, ma una rappresentazione teatrale, un concorso televisivo stile Grande Fratello, un provino. «Mi pare di stare in una puntata di Ballarò», disse Roberta Lombardi, per crocifiggere la monotonia onesta di Pierluigi Bersani. «Mi pare di stare dentro uno streaming!» griderà qualcuno nel cortile della scuola di mio figlio. La rivoluzionaria speranza di palingenesi del web che apre la scatoletta di tonno del Palazzo è finita dentro il vicolo cieco di un format para-televisivo.