In Piazza Affari sono tutti renziani. Più o meno scettici, ma renziani. Consulenti, banchieri, gestori: assieme sul carro del vincitore. Oggi il Ftse Mib, il principale listino italiano, non ha brillato chiudendo di poco sopra la parità (+0,11%), ma le notizie dal Quirinale hanno messo le ali al titolo Mediaset (+3,41% a 4,3 euro) e Luxottica (+1,62% a 39,48 euro) dopo il no grazie dell’amministratore delegato Andrea Guerra (uno dei circa 80 soci de Linkiesta) all’offerta di occupare la poltrona di ministro dello Sviluppo Economico. Lo spread con i titoli di Stato tedeschi è invece sceso a 194 punti base, livello più basso dal 2006. Assieme a Guerra, uno dei supporter della prima ora è Davide Serra, patron del fondo Algebris, entrambi ospiti della Leopolda.
Simpatizzanti accreditati sono l’imprenditore Diego Della Valle, con cui il premier in pectore si è fatto fotografare domenica scorsa, e il numero uno di Mediobanca Alberto Nagel. Tra loro c’è anche il romano Francesco Gaetano Caltagirone: intervistato da Lilli Gruber, l’azionista forte di Unicredit aveva espresso apprezzamento per il segretario Pd. Relazione complicata quella con Carlo De Benedetti, editore di Repubblica. All’inizio scettico, il giornale di Largo Fochetti ha poi appoggiato il segretario Pd nella corsa alle primarie contro Gianni Cuperlo e Pippo Civati.
Renzi gode del consenso di alcuni partner della McKinsey, sulla stessa lunghezza d’onda di Yoram Gutgeld – ex direttore per l’Italia della società di consulenza e ora parlamentare renziano – e di Boston Consulting Group. Tuttavia, racconta uno di loro a Linkiesta, «Con i consulenti l’approccio di Renzi è abbastanza opportunistico: prende le buone idee ma poi decide di testa sua». «Nel passato», spiega la fonte, «si sono affacciati molti “suggeritori“ che poi hanno iniziato a parlare per lui».
I grandi vecchi di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli e Giuseppe Guzzetti, sono “prodianamente“ in «curiosa attesa». D’altronde, i due 80enni ne hanno digeriti parecchi, di premier. Persone vicine al presidente della Fondazione Cariplo portano l’auspicio di ricostruire lo storico rapporto di alleanza tra cattolici e politici nello sviluppo della finanza e del territorio, consolidato con Giulio Tremonti – al netto dei conflitti precedenti alla nascita della Cassa depositi e prestiti –, ma perso con i Draghi boys come Fabrizio Saccomanni e Vincenzo La Via, nominato direttore generale del Tesoro proprio da Saccomanni.
Il tramite di Renzi nella galassia di Intesa Sanpaolo è Francesco Bianchi, consigliere di sorveglianza di Ca de’ Sass con un passato in Cariplo e fratello dell’ex presidente della Fondazione Big Bang, Alberto Bianchi. Amico di Marco Carrai, uomo macchina di Renzi, Bianchi è stato eletto nel parlamentino in quota Cassa di risparmio di Firenze assieme a Iacopo Mazzei, la cui figlia Violante ha sposato Bruno Scaroni, figlio di Paolo, amministratore delegato dell’Eni.
Più freddo il rapporto con il mondo Unicredit. Il direttore generale Roberto Nicastro è un altro top manager spesso associato al segretario del Pd, ma tra i due non sembra ci sia un rapporto consolidato, tantomeno con il vicepresidente Fabrizio Palenzona. Nel board di Unicredit, peraltro, siede l’economista Lucrezia Reichlin, che i Renzi vorrebbe come ministro dell’Economia. Tra gli azionisti del Corriere della Sera, di cui si ricorda la svolta renziana a firma di Ernesto Galli della Loggia, il rottamatore gode delle simpatie di John Elkann, presidente di Fiat, principale azionista del quotidiano di via Solferino, nonostante i pomeriggi in tribuna con il suo principale accusatore, Diego Della Valle, proprietario di Tod’s e della Fiorentina.
Al Lingotto Renzi si è riferito durante la direzione del Pd del 6 febbraio, sostenendo che si è parlato troppo poco del trasloco della sede fiscale e legale di Fiat a Londra e Amsterdam. Proprio al Lingotto, peraltro, il 39enne aveva chiuso il tour delle primarie. Nel giro di un anno, complice la rinuncia di Fiat ai 20 miliardi del progetto Fabbrica Italia, Renzi è passato da un «io sto con Marchionne» del gennaio 2011 a definirlo «traditore» nell’ottobre 2012. «Renzi è la brutta copia di Obama ma pensa di essere Obama, è il sindaco di una piccola, povera città», rispose all’epoca un piccatissimo Marchionne, suscitando le ire del sindaco: «Vorrei dire all’ingegner Marchionne che è liberissimo di pensare che io non sia un politico capace. Ma prima di parlare di Firenze, città che ha dato al mondo genio e passione, faccia la cortesia di sciacquarsi la bocca, come diciamo in riva d’Arno».
La Bad Bank, l’unione bancaria, i rinnovati timori su un’imposta patrimoniale, che agita i gestori di patrimoni e i giornali di area berlusconiana, come Libero e Il Giornale. Al di là delle simpatie personali, i temi che scaldano i banchieri del miglio quadrato milanese sono questi. La pressione tedesca per valutare – nell’ambito degli stress test sul sistema bancario – i titoli di Stato nel portafoglio delle banche considerando l’ipotesi di pesanti svalutazioni in caso di nuove tensioni sui debiti sovrani, la crescita delle sofferenze che, stante il misero +0,1% segnato dal Pil nel quarto trimestre del 2013, è destinata a continuare, la restituzione completa entro l’anno dei prestiti agevolati della Bce, non fanno dormire sonni tranquilli a consiglieri e amministratori delegati. Per questo tutti chiedono un ministro dell’Economia che abbia l’esperienza necessaria a poter rassicurare Mario Draghi, negoziare alla pari con Bruxelles e Berlino, e al contempo parlare con Susanna Camusso e Giorgio Squinzi, entrambi – sindacati e associazioni di categoria – in profonda crisi di rappresentanza. Una missione quasi impossibile, che Renzi deve studiare nei minimi dettagli.