Benvenuti nell’era dell’attenzione

Benvenuti nell'era dell'attenzione

Il CEO di ChartBeat, società di analisit web, Tony Haile, ci dà il benvenuto nell’era dell’attenzione. Cioè in quella in cui non è più il click a creare valore ma il tempo che dedichiamo alla visualizzazione dei contenuti online. Su due miliardi di visite sul web conteggiate dalla società in un mese, il 55% dei visitatori sono rimasti meno di 15 secondi. Le cose migliorano se si considerano gli articoli, in quel caso uno su tre visitatori rimane meno di quindici secondi, cioè non è interessato a ciò che sta guardando.

Secondo Haile gli editori sono orgogliosi di sapere cosa vuole il pubblico e si gongolano dei click ricevuti. Ma assumendo che tutto il traffico sia uguale (e non lo è) perdono l’occasione di crearsi un pubblico (audience) di lettori affezionati. Cioè: se io giornale punto tutto il mio piano editoriale su notizie acchiappaclick poi non posso lamentarmi se il mio successo è effimero, e sarò costretto a riempire il giornale di gattini, foche e donne nude. O sono BuzzFeed e ho ingegnerizzato la produzione di contenuti virali, o sono un giornale e spero che di volta in volta mi vada bene con un flusso di utenti che clicca sul contenuto virale ma si disinteressa della piattaforma che lo ospita.

Mito 1: Confondere i click con le letture

Pare l’equivoco sia nato nel 1994, quando Ken McCarthy se ne uscì con la misura del rendimento degli annunci sul web: il click-through. Lo “scatto alla risposta” del web è diventato la definizione di valore e quindi di guadagno. Le grandi aziende che vendevano inserzioni pubblicitarie, tra cui Google, ha legato all’azione dei consumatori il valore dell’annuncio pubblicitario. Clicco e ti faccio guadagnare.

Secondo Tony Haile il click non è più l’unico parametro, ma anzi sta perdendo terreno in favore dell’esperienza dell’utente nel sito. Il nostro tempo nel sito vale perché ci fidelizziamo, e leggiamo sul serio (eccetto se abbiamo lasciato la finestra del browser aperta). I nuovi siti come Medium e Upworthy stanno basando il loro modello di business sulle metriche di attenzione focalizzata piuttosto che sui click o banner. Il pubblico più prezioso è quello che ritorna.

Haile ha basato le sue intuizioni, che in effetti sono tutte più o meno ovvie, su una ricerca fatta su un campione di 2 miliardi di pagine viste generate da 580,000 articoli su 2000 siti mostra che gli articoli più visti sono le notizie reali.

Mito 2: La condivisione  equivale all’attenzione

Per quanto sia del tutto ragionevole interessarsi della condivisione dei nostri articoli sui social, perché più producono engagement più abbiamo l’opportunità di essere raggiunti da un pubblico maggiore, non bisogna confondersi: non c’è una reale corrispondenza tra contenuti condivisi sui social e le visite effettive. Si è predisposti a credere che più un oggetto è condiviso più produce engagement e attenzione, ma non è necessariamente vero. Sempre sul campione analizzato si è tracciata l’attività sociale: un tweet e otto like di facebook ogni cento visitatori. Ne si conclude con Haile che “i social non sono le pallottole d’argento dell’era dell’attenzione”.

Mito 3: Il Native Advertising ci salverà

Non sempre, non tutti sanno come farlo. Il Native Advertising è quel modo di pubblicizzare i prodotti senza interrompere il normale flusso di esperienza. Gli articoli esplicitamente sponsorizzati da Toyota o Coca Cola per BuzzFeed o Atlantic sono un esempio. Ma funziona? Non sempre. Se un articolo normale riceve 15 secondi di notorietà (engagement), il native ne ottiene un terzo. Succede la stessa cosa con il comportamento dell’utente nello scroll di pagina (24% di scroll, cioè continuo a leggere l’articolo vs 71% di scroll per i contenuti normali).

Naturalmente il Native Advertising se fatto bene è un’ottima opportunità di guadagno, lo sanno GizModo, Upworthy e tutti quei siti che ai banner e ai click preferiscono un’esperienza integrata.

Ne concludiamo che gli obiettivi per i giornali devono essere puntare alla costituzione di un pubblico affezionato di lettori, tramite contenuti di qualità (anche un banner può essere fatto in modo creativo) e sfruttare il tempo passato sul sito per contrattare prezzi più alti con gli inserzionisti. L’architettura del web è importante in una logica di questo tipo. Nel web dell’attenzione ogni elemento che costituisce un problema per l’utente deve essere eliminato. Ogni publiredazionale scritto per compiacere l’ultimo degli impiegati dell’azienda committente è un male per il business, perché il lettore se ne disinteressa immediatamente. Progettare bene i siti e i contenuti editoriali signfica migliorare l’esperienza dell’utente e la qualità del servizio proposto. Ovviamente bisogna tenere conto del fatto che le attuali metriche di valutazione considerano ancora l’engagement come unico parametro, sarà sempre così? Vale la pena rimanere attenti.

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