L’Uomo deve innamorarsi
di Qualcosa o di Qualcuno,
o altrimenti ammalarsi
(W.H.Auden da Grazie, Nebbia)
Leggere il libro di Mauro Magatti e Chiara Giaccardi (Generativi di tutto il mondo unitevi!, Feltrinelli 2014) è come tornare a casa dopo un viaggio tumultuoso, fatto senza una meta precisa, quasi senza senso. È intuire una strada in un momento di stanchezza, depressione e sfiducia generale. La coppia di docenti dell’Università Cattolica scrive un manifesto per la società del futuro, destinata a rinascere dalle ceneri del mondo conosciuto negli ultimi decenni e ora in crisi. Al centro del volume l’idea di libertà, principale conquista dell’Occidente e cardine dell’età moderna. Un’idea che i due sociologi considerano in crisi e da riabilitare, da far rinascere dopo che anni di consumismo sfrenato e di rafforzamento di nuovi «apparati tecno-economici» l’hanno soffocata, trasformandola in volontà di potenza, desiderio di godimento, prestazione continua.
«Mentre si liberava, la libertà ha tracciato la propria strada, costruendo le sue istituzioni: lo stato, la democrazia, il mercato, la scienza, la tecnologia», si legge nel manifesto. Per la prima volta la libertà è diventata una esperienza di massa: «È solo a partire dagli anni Sessanta che la stragrande maggioranza dei cittadini delle società avanzate accede alle tre dimensioni classicamente associate alla libertà: benessere economico, diritti democratici e pluralismo culturale. Ciò che i nostri padri avevano potuto solo desiderare – essere liberati dalla povertà, dall’oppressione, dall’ignoranza – diventa realtà quotidiana».
Ma, sostengono Magatti e Giaccardi, «la libertà in condizioni di libertà è diversa dalla libertà in condizioni di costrizione»
Si dice libertà, è in realtà vuoto
La conquista della libertà in età moderna ha portato a un nuovo modo di essere, centrato su «scoperta del Sé, bisogno di autorealizzazione, ricerca dell’autenticità al di là dei modelli morali e comportamentali prestabiliti». Tutto bene, finché il «fascino vorticoso della sperimentazione del nuovo per il nuovo e dell’esplorazione dell’ignoto» non diventa «insofferenza per il già noto». O, per i più, libertà è diventata rincorsa al godimento continuo, posticipazione delle scelte, rifiuto dei vincoli.
«Per i più audaci , essere aperti ha significato essere sempre disponibili al cambiamento, non avere paura del naufragio, provare il gusto dell’eccesso. Per i tanti, rassegnati alla mediocrità, la ricerca di piccoli godimenti seriali, l’inseguimento dell’ultima moda, il compiacimento per il “trash sublime”, nella speranza di riuscire a saturare una soggettività che, pur senza ammetterlo, si scopriva “sfondata”»
Secondo Magatti e Giaccardi, questa nuova libertà individuale ha sprigionato una volontà di potenza soggettiva, che chiede di poter ampliare in continuazione le opportunità disponibili. E si è creato quel circuito potenza-volontà di potenza che segna la nostra età:
«L’emergere della volontà di potenza individuale chiede al sistema maggiore potenza; a sua volta, la maggiore potenza prodotta dal sistema tecnico stimola l’aumento della volontà di potenza. (..) L’individuo deve essere se stesso e, al contempo, essere aperto a tutte le possibilità; scegliere e, al contempo, non credere a niente; godere e, al contempo performare»
«Il paradosso della libertà contemporanea è di vivere solo e sempre in potenza. Volendo mantenere aperte tutte le possibilità, ci costringiamo nell’attimo fuggente, ingenuamente consegnati all’evento che non può che ripetersi sempre uguale. Come se la perfezione della libertà consistesse nel non realizzarsi mai, nel rimanere pura possibilità: una libertà in fondo solo virtuale. Per paradosso la scelta è un vincolo, una riduzione di possibilità»
Si compie dunque, secondo i sociologi, un «arretramento sull’Io», in una diffusa «volontà di vivere, di sentire, di provare, di esserci». Una rincorsa a mille possibilità che ci rende rapaci e costantemente insoddisfatti. Pieni di cose, fatti, esperienze, ma fragili e soli.
A questa “libertà”, Magatti e Giaccardi, coppia anche nella vita, introducono un nuovo modello, che è anche modello di società (giacché la libertà è sempre anche «un progetto sociale» e «non si dà per se stessa ma solo in relazione all’organizzazione della società»). Le idee che escono, frutto di un lavoro iniziato nel 2010 con la raccolta di pensieri e storie nella piattaforma Genius Loci, affondano le radici nella tradizione culturale occidentale e italiana. Scelta, senso, orizzonte, limite: queste le parole chiave del manifesto. Ecco perché leggerlo è come tornare verso casa, su una strada che c’era e si è interrotta, una strada da riprendere ma in modo nuovo.
Cos’è allora la generatività?
Viviamo nella fase storica in cui il problema non è quello di liberarsi da un’autorità, raccontano Magatti e Giaccardi, ma di motivarsi a qualcosa, assumendo le responsabilità che ogni idea o progetto comporta. Partendo dalle idee dello psicologo e studioso Erik Erikson, propongono:
«Via via che si guadagnano spazi di autodeterminazione, la ribellione non basta più: viene il momento in cui il problema non è quello di liberarsi da un’autorità, ma di motivarsi a qualcosa, assumendo le proprie responsabilità e riconoscendo che la realtà oppone una resistenza e pone delle sfide con cui non possiamo non misurarci. È questo il momento in cui la proiezione narcisistica rivela la propria inadeguatezza (…). Novelli Don Giovanni, dietro la pretesa di non avere regole e di provare tutto ciò che è precluso agli altri, ci condanniamo a ripeterci ogni volta da capo.
Alternativa a questa «stagnazione» è allora la «generatività», tipica dell’ingresso nella fase della maturità e dell’abbandono dell’adolescenza – e del tratto «intimista» che la connota. La maturità è il momento in cui ci si scontra con la realtà e che richiede un decentramento da sé, un apertura all’altro. Essere generativi significa assumere un «atteggiamento di cura e di investimento per ciò che è stato generato per amore, necessità, caso». È questo, secondo questo manifesto, l’atto supremo di libertà creativa oggi, il vero anticonformismo.
Spinti continuamente al delirio consumistico, che affonda le radici in un bisogno antropologico umano, solo un atto altrettanto originario quanto quello del consumare può avere la forza di controbilanciare e contenere «le tendenze egemoniche», sostengono i due. E quel qualcosa è il generare, «un atto che muove dalla logica opposta a quella del consumo», pronta per diventare il nucleo di un modo nuovo di essere liberi, oltre «la società dei consumi e delle passioni tristi».
Il futuro è dei «givers», i donatori
I generativi possiedono un orientamento aperto, attento agli altri e disposto a dare del proprio, sono coloro che riescono a far coincidere lo sviluppo di sé con la cura per l’altro. Ed è anche «uno dei profili – scrivono i due sociologi – capaci di ottenere, transculturalemente, indici di apprezzamento assai elevati».
Se confrontati con i takers – che adottano un atteggiamento predatorio – i givers, coloro che sanno spendersi per ciò in cui credono, in rapporto agli altri tendono ad essere più capaci di unire soddisfazione e realizzazione (…).
«In un’impresa, chi cerca di strumentalizzare ogni situazione a proprio vantaggio, anche quando dovesse riuscire ad avere successo. tenderà a impoverire l’ambiente di lavoro,creando lacerazioni e dolore, mentre chi è capace di coinvolgere e di entusiasmare, mettendo in gioco i propri talenti, migliorerà la qualità complessiva dell’ambiente di lavoro, riuscendo a tirare fuori il meglio di sé e degli altri»
Il vocabolario dei generativi
Il generare è un atto proprio dell’uomo, e l’essere generativi non è quindi una norma imposta dall’alto, ma significa alimentare qualcosa che è già nell’uomo. Desiderio, intraprendenza, scelta, limite, senso sono le parole chiave del generativo.
Il punto di partenza è sempre se stessi, è il desiderio «di vita ulteriore, disponibilità a un salto di qualità, ricerca di una condizione migliore». Desiderio che va oltre l’abbandono all’immediatezza della pulsione, che si soddisfa nell’immediato, in una successione di godimenti schiacciati su un eterno presente.
«L’autentico desiderio di sé (di farsi, di essere se stessi, di una vita piena, di un di “più” che è autotrascendenza, eccedenza) si realizza solo se è capace di non avvitarsi si di sé»
È intraprendenza, è prendere su di sé l’iniziativa contro apatia, indifferenza, sfiducia, dipendenza. Non è solo iniziare qualcosa ma prendersene cura, esserne responsabili nei confronti delle istituzioni, pratiche sociali, risorse disponibili. È «essere competenti». Significa anche sopportare fatica e solitudine, «affrontare pressioni esterne senza crollare». È contrapporre il sacrificio alla pretesa di diritti solo individuali, la fatica a «briciole di godimento istantaneo».
«Che è poi un modo di credere quando gli altri non credono, di vedere quando tutti gli altri non vedono: senza questo coraggio, e questa pzienza, la generatività non ci può essere, perché (…) ci sono sempre grumi di conservazione e di resistenza che per paura osteggiano il flusso»
È avere una meta da mettere sempre più a fuoco:
«È nel corso della ricerca , e solo affrontando e superando i vari mali, pericoli, tentazioni e distrazioni particolari che forniscono a qualsiasi ricerca i suoi episodi e i suoi incidenti, che la meta della ricerca può essere compresa in modo definitivo»
È infine realizzare qualcosa nel tempo e nello spazio, dando forma alla realtà senza rifuggire continuamente scelte che comportano chiusura di opportunità.
È attraverso la scelta – come presa d’atto della realtà e, al tempo stesso, suo superamento – che la libertà generativa crea lo spazio e il tempo della differenza. Cioè della profondità. Laddove non c’è questo inizio, prevale il flusso dell’indistinto, il vortice dell’anonimo; la copia, l’uniforme»
«La libertà come capacità di imprimere una direzione si dà solo nel rispetto del limite: la forma, appunto, solo dentro la quale il nuovo si manifesta e può essere realizzato»
Iniziare qualcosa, farlo esistere dentro limiti di spazio e tempo, alimentarlo a costo di sacrifici e sofferenze, superare se stessi facendolo. È questo essere generativi. È sfuggire al vuoto e al nonsense. È questa la libertà dei già liberi. È oggi la più potente forma di anticonformismo.