Farinetti, Celentano e i carnefici della cultura

L’apertura di Eataly a Milano

Scrive Adriano Celentano su Il Fatto Quotidiano che Oscar Farinetti è un falsario, e lo accusa di incredibili nefandezze. «La cultura caro Oscar – attacca il cantante – è solo una facciata per riempire le tue tasche». Al termine di un lungo articolo-invettiva, l’ex molleggiato iscrive il fondatore di Eataly nel club da lui idealmente costituito, di quelli che chiama «i carnefici della bellezza». Di più: «Se veramente ci tenessi alla cultura e conoscessi il significato di questa parola così importante – aggiunge Celentano con prosa a dir poco creativa – dico che era giusto rilevare il teatro Smeraldo, ma non per umiliarlo con due salsicce rosolate sul cemento, come hai fatto tu, ma per ristrutturarlo e valorizzare invece la sua immagine storica, che di riflesso se ne sarebbe avvantaggiata anche la tua immagine, se non altro per mascherare i tuoi veri istinti, che di certo non appartengono a un pensiero culturale».

Ora, a parte che se si spende la forza aulica della parola “cultura” bisognerebbe come minimo avere una vaga idea della consecutio dei tempi, Celentano accusa anche un suo fantomatico amico “Victor” (dovrebbe essere Sgarbi) di collaborazionismo con il nuovo nemico: «Si può anche essere amici di Farinetti, non dico di no, ma uno come te che ha un’idea da difendere, e la tua sembra davvero un’idea SANA, non può andare all’inaugurazione, anche se di un amico, per festeggiare la distruzione di uno dei principali TEATRI milanesi, divenuto ormai un impero, dove più di cinque generazioni si sono ritrovate per gioire e riflettere – scrive ancora Celentano – sulle tante storie che, proprio da quel palco, nelle varie forme artistiche e culturali ci venivano raccontate».

Per un attimo lasciate perdere Victor. Celentano ce lha con Farinetti perché recupera un ex teatro per farne una delle filiali della sua catena di ristoranti, lo crocifigge perché ci vende le salsicce “rosolate sul cemento” (sic!). Lo considera un carnefice della cultura che “maschera i suoi istinti con “parole ipocrite come mangiare sano”.

Confesso che questa ultima sgangherata invettiva si aggiunge a una recente serie di accuse contro Farinetti che meritano di essere indagate come un caso di scuola.  Al fondatore di Eataly si rimproverano cose diversissime e disparate: di sfruttare i lavoratori, di essere amico di Matteo Renzi, di usare la cultura come alibi, di voler fare soldi. Nell’ordine, conoscendolo per averlo intervistato più volte, posso dire alcune cose

1) credo di essere uno dei giornalisti più Renzi-scettico della stampa italiana, ma Farinetti e Renzi hanno diritto a essere amici di chi credono, ed è abbastanza surreale che molti di quelli che baciano le pantofole al premier imputino a Farinetti questo rapporto come se fosse la prova di chissà quali conflitti di interesse (che non sono stati provati semplicemente perché non esistono).

2) Farinetti assicura di rispettare il contratto nazionale del commercio, quindi quelli che lo accusano, non dovrebbero prendersela con lui, per gli stipendi e le condizioni di lavoro, ma con il tariffario nazionale. 

3) se Farinetti rileva il teatro Smeraldo, e lo ristruttura, Celentano se la prenda con  chi glielo ha ceduto, e non con lui. Se Farinetti recupera, come ha fatto a Roma, un terminale ferroviario che fino a due anni fa abbandonato come tante opere incompiute di Italia Novanta (!) e ci vende le salsicce (e non solo quelle), dovrebbero dargli una medaglia e non certo criticarlo.

4) Celentano accusa Farinetti di voler fare soldi con la cultura ma, a parte che Farinetti non ha mai detto di voler fondare una Onlus, la domanda è: che cosa c’è di male? E Celentano che cosa fa con le sue canzonette? Opere di bene per i poverelli?

5) si possono fare soldi con la cultura, anche quella culinaria, ed è un bene per il Paese farli: centinaia di produttori di qualità – alcuni li conosco – hanno salvato le loro imprese, o le hanno addirittura create dal nulla – grazie alla possibilità offerta da una catena di distribuzione di qualità: non so se è cultura questa, sicuramente è una buona cosa.

Insomma, se c’è dell’ipocrisia nel j’accuse di Celentano, è proprio in questa invettiva senza capo ne coda. Questo è l’unico Paese dove si piange a parole per il fallimento degli imprenditori ma contemporaneamente li si critica anche se hanno successo. Per questo la polemica Celentano è qualcosa di più di una questione interpersonale, è l’ennesima manifestazione di un sentimento curioso che attraversa una parte della classe dirigente italiana, un misto di moralismo reazionario per cui anziani miliardari possono accusare un imprenditore di voler fare profitti come se fosse un criminale di guerra

Ecco quindi cosa farò per rispondere – nel mio piccolo – al molleggiato: andrò volentieri all’air Terminal di Roma, a comprare la mozzarella appena fatta, magari a mangiare una salsiccia, meglio ancora se cotta sul cemento. E se mentre sono in macchina, se la radio intercetta una canzonetta di Celentano la spengo: così divento carnefice della cultura anche io. 

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