Crisi di ideeFrancia in crisi di idee: nessuna alternativa a Le Pen

Chierici lontani dalla realtà

È ormai motivo tipico delle crisi europee a partire dal Novecento: che risposta sono in grado di dare gli intellettuali all’emersione delle destre nazionaliste? Il tema è particolarmente in voga in Francia, dove Marine Le Pen e il suo Fronte nazionale hanno conquistato il4,65% dei voti (pur non presentandosi in tutti i seggi) al primo turno delle amministraive. Non solo. In un sondaggio di Le Monde di metà febbraio, il 34% dei francesi aderiva alle idee del Front National

Non che il caso francese sia unico – a voler credere nel determinismo politico, la stessa crisi sta soffiando nelle vele elettorali dell’Ukip di Nigel Farage in Gran Bretagna e del Partito della Libertà di Geert Wilders in Olanda. Ma in Francia è diverso: gli intellettuali del Paese hanno sempre amato percepire se stessi come la coscienza aperta e repubblicana del continente, libera da colpe storiche e perciò autorizzata a flirtare con le ideologie più contemporanee.

In altre parole, qui dall’Italia – dove gli intellettuali sono estinti – ci si sente quasi autorizzati a godere. Si prenda il caso di Jacques Attali, già consigliere di Mitterrand: nelle sue ultime ricerche si è occupato del rapporto dei tedeschi con l’inflazione, per sostenere che la Germania dovrebbe vincere il timore del rialzo dei prezzi e proporre nuove soluzioni per la crisi europea. Si è spinto anche oltre: recentemente ha dichiarato che «il malato d’Europa non è la Francia, ma la Germania». Il motivo? «La poca disoccupazione tedesca è uno scherzo, se la gente lavora per cinque euro l’ora».

Anche lo scrittore Emmanuel Todd si è scagliato contro il «fascismo fiscale» dei tedeschi – e non solo. Todd è contro la moneta unica, e «l’unica soluzione per risolvere la crisi europea è sbarazzarsi dell’euro. Pensare a qualsiasi altra soluzione non è serio». Del resto, «la Germania ha ormai preso il controllo del continente». Anche Jean-Pierre Chevènement, già ministro con Mitterrand e Chirac, parla di un’Europa «germanocentrica» in cui «la Francia suggerisce, ma la Germania impartisce gli ordini».

Ma forse, proprio nelle parole di Chevènement possiamo individuare il germe della crisi intellettuale: Chevènement, pur schierato a sinistra, inizia a impiegare temi schiettamente nazionalisti per sostenere le proprie posizioni, giocati nella più tradizionale chiave dell’opposizione franco-tedesca. Chevènement può beneficiare del sostegno dichiarato di Max Gallo, ottantenne membro dell’Académie Française – e non è un caso: si cercano temi che possano attrarre le persone travolte dalla crisi. Chevènement è fautore di un approccio ideologico definito da alcuni “trasversale”, passato dai socialisti a un blob che include anche figure vicine alla destra. «Néocons» li ha definiti la rivista Le Point – laddove non s’intendono esattamente liberali in senso americano, ma più che altro vetero-nazionalisti “con” in senso francese, secondo l’epiteto di Le Point.

Perché nonostante gli sforzi, la gente sta scegliendo Marine Le Pen. La sinistra di governo – come da tradizione – non si sta rivelando all’altezza del compito, e gli intellettuali stanno cercando di ovviare al problema con interventi cosmetici di dada nazionalismo di sinistra. Si potrebbe sospettare che stiano annusando il vento alla ricerca degli argomenti che tirano. Si potrebbe parlare ancora una volta della “teoria dell’indirizzo sbagliato”: il messaggio di liberazione che deve partire dalla crisi, per qualche orribile errore, anziché essere consegnato a una “classe” (nella fattispecie, quella dei neo-proletari) è stato consegnato ai nazionalisti.

«È sempre stato così», sostiene il prof. Giulio Sapelli, grande voce dell’Italia in crisi e fine conoscitore dell’ambiente intellettuale francese, «fin dai tempi di Vichy i pensatori d’oltralpe si sono limitati a difendere le proprie posizioni, senza cercare una vera immedesimazione con la società. Anche nel maggio parigino Sartre si è messo a distribuire volantini, senza capire esattamente cosa stesse succedendo. Non è un caso che fosse in rapporti altalenanti con Camus, che infatti non proveniva da ambienti puramente francesi».

Perché a Parigi – si dice – non è più tempo neanche di Gauche caviar: siamo già cinque minuti oltre la mezzanotte. La post-ideologia impone che gli ideologi non servano più, e la politica può far propri temi da diversi schieramenti a seconda dell’interesse elettorale. In questo senso, si veda la mirabolante sterzata della stessa Marine Le Pen, che un tempo proponeva di mettere al bando la kippah (il copricapo ebraico), mentre adesso sta facendo leva sui sentimenti di alcuni gruppi di opinione ebraici in chiave anti-islamica, ricevendo anche il sostegno di molti francesi. In questo senso, Marine Le Pen può essere accusata di incoerenza, ma ciò non importa a nessuno; o può essere accusata di islamofobia, ma importa solo agli intellettuali. Nel contempo, la signora ha citato in giudizio Bernard-Henri Lévy perché questi aveva scritto che le posizioni antisemite della Le Pen avrebbero ispirato un’aggressione a tre ebrei lo scorso anno.

Come al solito, sembra che questo tipo di destra – sempre escludendo l’ipotesi di un’escalation violenta – si esaurirà per questioni ideologiche interne e per incompatibilità continentale. Il supermercato dei temi politici, tratti da destra, sinistra e da abbecedari nazionalisti, non formano strutture coerenti di pensiero ideologico coerente, tanto che questi partiti collassano non appena acquisiscono importanza. Non saranno mai in grado neanche di creare alleanze europee, proprio perché l’approccio nazionalista in sé non è compatibile di Paese in Paese. Già ora, Nigel Farage ha dichiarato che non si alleerebbe mai con Marine Le Pen proprio a causa dei trascorsi apertamente antisemiti. In Olanda, Wilders è apertamente pro-sionista. Sull’islam, Wilders sembra assai più aggressivo addirittura di Marine Le Pen. «Bandite il Corano come è stato bandito il Mein Kampf», ha detto una volta Wilders. Con somma delusione, purtroppo, questo è il vero livello della discussione intellettuale europea in tempo di crisi. Ma si può essere delusi da ciò che è ormai normalità?

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