Il mercato nero delle valute è croce e delizia del Venezuela. Dopo aver introdotto i currency control nel 2003, la situazione è degenerata. E il peggio è successo a seguito della crisi politica derivante dalle proteste di piazza contro il presidente Nicolas Maduro. A oggi ci sono tre diversi mercati valutari in Venezuela. Il primo, quelli storico, vedono la valuta venezuelana, il bolivar, negoziata contro il dollaro a quota 6,3 per i beni preferenziali, quali derrate alimentari e medicine, e a quota 11,8 per tutti gli altri beni. A fine febbraio è arrivato Sicad 2, altro tasso di cambio ufficiale con il chiaro intento di fungere come benchmark ufficiale. Poi, c’è il mercato nero, dove circa 75 bolivar valgono un dollaro. Un coacervo di prezzi che può essere la rovina del Paese.
Non è facile capire cosa sta succedendo all’economia venezuelana se non si guarda anche al mercato nero. Anzi, ai mercati neri. Il plurale è d’obbligo, visto che ne esistono per tutti i beni, dai più comuni ai più avanzati. Basti pensare a quello dei biglietti aerei, o a quello del pane, oppure ancora a quello delle valute, il più rilevante dal punto di vista finanziario. Mercati paraleli a quelli ufficiali, che viaggiano veloci grazie ai social network, che crescono a un ritmo a doppia cifra anno su anno. E tutte queste piazze di scambio non convenzionali sono opache. Nessuno conosce con precisione quanto sia il prezzo con cui il bolivar passa di mano, perché le negoziazioni sono su base privata, lontano dalle authority di vigilanza. C’è solo una certezza: la situazione è fuori controllo. Il deprezzamento del bolivar continua e il tasso d’inflazione ha subito un incremento record nei mesi scorsi, passando dal 21,4% del luglio 2012 al 58,5% dello scorso novembre, salvo poi calare fino al 56% in gennaio.
Oggi, con il Sicad 2, il governo di Caracas sta tentando di riprendere in mano la situazione. Ogni giorno vengono lanciate aste con il quale la banca centrale venezuelana inserisce dollari statunitensi nel sistema a un tasso di cambio predefinito. E dato che quest’ultimo fluttua con una banda di oscillazione molto ridotta e assai bassa, è intuibile cogliere l’intento dell’intera operazione. La banca centrale punta a mantenere un tasso di cambio ufficiale a un livello più contenuto rispetto a quello presente sul mercato nero. Non è un caso che durante la presentazione del nuovo sistema di scambio sul forex il vicepresidente con delega all’Economia, Rafael Ramirez, abbia sottolineato come «i principali benefici saranno immediati e rafforzeranno il bolivar contro le altre divise internazionali». Sarà premura dell’istituzione monetaria valutare ogni giorno la quantità di valuta da inserire nel mercato domestico, in modo da bilanciare la fuga di capitali che da mesi si sta verificando. Secondo i calcoli degli strategist di Bank of America-Merrill Lynch, dallo scorso ottobre a oggi si sono volatilizzati poco più di 20 miliardi di dollari. Questo fenomeno si è tradotto in una maggiore volatilità del bolivar sul mercato nero, nel quale il deprezzamento è stato repentino e marcato, e un incremento delle spese per contenere le fluttuazioni dei tassi di cambio ufficiali. I dati della banca centrale venezuelana parlano chiaro: le riserve valutarie internazionali sono pari a 21,596 miliardi di dollari. Una cifra esigua in confronto alla velocità con la quale il bolivar si sta svalutando sul mercato nero, su cui è stimato da HSBC che avvenga il 54% delle transazioni.
L’arrivo del Sicad 2 non è stato accolto in maniera positiva dagli investitori. Secondo la banca statunitense Goldman Sachs, il pericolo che si entri in una spirale mortale per il Paese è elevato. «La sete di dollari che ha il Paese, simile a quella che ha l’Argentina, potrebbe costringere Caracas ad agire ancora sul fronte valutario, esponendosi agli arbitraggi degli investitori più aggressivi», ha scritto Goldman Sachs. Inoltre, come avvenuto già in Grecia e poi in Argentina, una folta schiera di analisti temono che il Venezuela stia falsificando i conti pubblici. Fra gli scettici troviamo Citi, che già nel suo outlook macroeconomico per il 2014 aveva messo in guardia i suoi clienti istituzionali, rammentando la fragilità del quadro congiunturale. Infatti, la produzione di petrolio, la maggiore risorsa del Paese, è in calo costante da anni. Sono un ricordo i 3,5 milioni di barili al giorno del 2000. Nel 2013 la produzione media è stata di poco meno di 2,4 milioni di barili per singola giornata lavorativa. In più, sta crescendo il debito estero. Nello specifico, quello verso la Cina, il principale partner commerciale del Venezuela. Come riportato dalla World Bank, il debito di Caracas verso Beijing è salito oltre quota 40 miliardi di dollari, il record storico. Il risultato è che lo stress sul mercato obbligazionario aumenta di giorno in giorno, con il tasso d’interesse dei bond decennali stabilmente oltre quota 10 per cento.
Il clima all’interno del Paese è sempre più teso. Molotov, saccheggi, rapimenti e abusi di potere da parte delle forze dell’ordine sono diventate la nuova normalità per Caracas e non solo. La politica monetaria del Venezuela, già instabile in passato, è divenuta schizofrenica. Nelson Merentes, il presidente della banca centrale nazionale, ha definito «perfette» le decisioni del governo sul mercato forex. Ha inoltre condannato l’uso del mercato nero per l’approvvigionamento dei dollari. «Si tratta di un delitto per l’intero Paese», ha affermato. Parole cariche di connotazione politica, che rispecchiano le linee guida dettate da Maduro e Ramirez. Merentes ha poi minimizzato sull’entità della crisi: «Siamo in una crisi, questo è senza discussione, ma non è così profonda come molti osservatori lasciano intendere». In realtà, secondo l’agenzia di rating Standard & Poor’s, il Paese potrebbe andare in default entro i prossimi due anni.
E Maduro, per l’appunto, come si sta muovendo? Dopo la morte di Hugo Chavez, il presidente venezuelano ha deciso di attaccare con veemenza il settore privato: «Se c’è crisi, se il nostro popolo ha fame, se la nostra ricchezza sta scendendo, è tutta colpa loro. Il capitalismo selvaggio e le privatizzazioni sono il male». Parole che sono state usate come preludio al nuovo intervento sul mercato forex. Per gli analisti di HSBC è possibile che ulteriori misure valutarie potrebbero essere intraprese già nelle prossime settimane, nel caso le autorità monetarie riconoscano che il Sicad 2 non funziona. Se così fosse, i 21,6 miliardi di dollari in riserve internazionali potrebbero aver vita breve.