L’Italia rimane indietro sul fronte dell’innovazione, ben distaccata dagli altri Paesi Ue membri del G7 – anzi nel 2013 ha perso un po’ di terreno. Mentre c’è chi continua a credere che la colpa della disoccupazione e del ristagno italiano sia dell’euro o di Bruxelles, la Commissione sfodera un rapporto che rivela uno degli elementi della crisi italiana. Tale rapporto, al tempo stesso, riserva però una piacevole sorpresa: almeno sul fronte dell’innovazione il Mezzogiorno non è messo tanto male, e soprattutto non molto peggio di una buona parte del Nord. Uniche a “brillare”: Piemonte, Friuli ed Emilia Romagna, le più “innovative” d’Italia.
Partiamo dai dati generali. Nessuna regione italiana figura tra quelle che il rapporto definisce «innovation leader», e cioè con una capacità innovativa molto superiore alla media Ue. Le regioni più innovative sono concentrate in otto stati membri, per la precisione Danimarca, Germania, Finlandia, Francia, Irlanda, Olanda, Svezia e Regno Unito. Solo le tre già citate regioni italiane figurano nel secondo gruppo («innovation followers», con una media pari o leggermente superiore alla media Ue). Tutte le altre – dal Nord al Sud senza distinzione – rientrano nella terza categoria («moderate innovators», cioè con una media inferiore alla media Ue).
Piccola consolazione: nessuna regione italiana figura nell’ultimo gruppo, quello dei «modest innovators» (capacità innovativa molto al di sotto della media Ue), mentre nel 2006 tra questi figuravano ancora Calabria e Molise. Complessivamente, l’Italia figura tra gli Stati della terza fascia, unico, lo dicevamo, tra i membri Ue del G7 (mentre la Germania è l’unico a essere nella prima fascia, Gran Bretagna e Francia sono nella seconda). Per dare un’idea, l’Italia è in buona compagnia di Paesi coma la Croazia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Slovacchia, Spagna. Per dirla con le parole del vicepresidente della Commissione Europea, Antonio Tajani, responsabile dell’Industria (e committente dello studio) «l’Italia è un paese che arranca». «La sua performance nell’innovazione – si legge nel rapporto – è costantemente cresciuta fino al 2012, e ha poi visto un leggero calo nel 2013», raggiungendo l’80% della media Ue. Solo Piemonte, Emilia Romagna e Friuli sono riuscite a fare di più. Complessivamente, tra il 2004 e il 2010 l’Italia ha registrato un miglioramento del 6,3%, mentre Paesi già avanzati come l’Austria e l’Olanda hanno migliorato del 22,2%, Francia e Gran Bretagna dell’11,1%, la Danimarca del 26,7% – solo per fare alcuni esempi.
Pesa anche il modo in cui sono stati utilizzati i fondi strutturali Ue: mentre il primo della classe, la Danimarca, li utilizza quasi per l’80% per ricerca e sviluppo tecnologico, per l’Italia questa percentuale è sotto il 30 per cento.
E il Sud? A sfogliare le cartine del rapporto sembra di capire che il Mezzogiorno sta messo meno peggio del previsto – anche se, naturalmente, numeri e grafici vanno interpretati. Ad esempio sul fronte dei miglioramenti della capacità innovativa delle imprese, tutte le regioni meridionali ad eccezione della Puglia hanno visto tassi di crescita pari a quelli del Nord. Per alcuni versi si scoprono alcuni dati inaspettati (anche se poi ciascuno potrà interpretarli a modo suo): la Campania investe più fondi pubblici in ricerca e sviluppo (90-120% della media Ue) di quanto facciano le regioni del Nord (50-90% della media Ue), ad eccezione del Trentino.
Il resto del Sud è nella stessa categoria del paese. Campania e Calabria non fanno una cattiva figura quanto a percentuali di imprese che innovano “in-house” (90-120% della media Ue), anche se qui tutto il Nord (ad eccezione del Trentino-Alto Adige) è nella fascia superiore (oltre il 120% della media Ue). Nessuna regione è nell’ultima fascia (meno del 50% della media Ue). Campania e Calabria sono grosso modo alla pari di Lombardia e Piemonte quanto a quota di innovazioni nel marketing e nell’organizzazione (90-120% della media Ue). E Campania e Abruzzo sono nella stessa categoria della Lombardia quando a spesa per ricerca e sviluppo nel settore delle imprese in rapporto al Pil (50-90% della media Ue). Solo il Piemonte qui fa di meglio, fanalini di coda sono le altre regioni del Sud ma anche Umbria e Marche.
Naturalmente questo non vuol dire che il Sud sia improvvisamente arrivato ai livelli del Nord. Ci sono elementi di debolezza strutturale nel Sud, ad esempio la percentuale della popolazione tra i 25 e i 64 che abbia completato studi universitari: in tutto il sud – Abruzzo e Molise esclusi – la quota si ferma sotto il 50% della media Ue, persino Grecia o Bulgaria fanno di meglio. Il resto del paese è comunque nella fascia appena superiore (50-90% della media Ue). Allo stesso modo tutto il Sud senza Abruzzo e Molise, è nella categoria più arretrata quanto a numero di brevetti presentati (meno del 50% della media Ue), come l’Est Europa, il Portogallo, la Grecia o buona parte della Spagna. Qui ricompare la divisione Nord-Sud: le regioni settentrionali (ad eccezione di Trentino Alto Adige e Val d’Aosta) sono nella seconda fascia (90-120% della media Ue), le altre regioni nella terza. «Un segno – spiega una fonte comunitaria – che gli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo portano molti meno frutti di quanto dovrebbero».
Tuttavia, come ammette lo stesso commissario agli Affari regionali, Johannes Hahn, «il Sud sta progredendo, sebbene gli elevati tassi di sviluppo (nell’ambito dell’innovazione) siano dovuti anche al punto di partenza molto più basso». Tra i fattori positivi «la dotazione di fondi strutturali per l’Italia» destinati in massima parte al Sud. «Stiamo mettendo il pepe nel sedere al vostro Sud» scherza un alto dirigente della Commissione che ovviamente non vuol esser identificato. Non basta, «occorre – dice la stessa fonte – un cambio più radicale anche di mentalità».