La pioggia di insulti che in rete e sui social network continua a colpire Fiorello, dopo l’incidente in cui ha travolto un pedone, non ha nessuna giustificazione plausibile, se non la barbarie dei tempi che stiamo vivendo e merita di essere sviscerato per quello che ci racconta, aldilà dell’apparente marginalità della storia che l’ha innescata.
Sia chiaro, Fiorello ha sorpassato un’auto ferma, ha investito un uomo sulle strisce pedonali: ha – dunque – una colpa precisa che verrà accertata nelle sedi competenti, punita, sanzionata come accadrebbe per qualsiasi altro cittadino. Ma, va aggiunto, è finito anche lui all’ospedale, ha pagato un prezzo altissimo, ha dovuto cancellare tutte le date della sua turnée teatrale, dovrà subire una lunga convalescenza e (speriamo di no) forse persino un intervento, porta venti di sutura sul suo volto.
Fiorello, insomma, appartiene alla categoria abbastanza rara in Italia, di coloro che si ritrova a pagare sulla propria pelle il prezzo delle sue colpe e, proprio per questo, viene ingiuriato. Appartiene alla categoria di coloro che sbagliano, certo, ma non si sottraggono, anzi, sono coinvolti nel problema di cui sono origine, la sua prima preoccupazione, appena ripreso conoscenza dall’incidente, è stata quella di chiamare la persona che aveva travolto per comunicargli il suo rammarico.
Ed è esattamente questo il nodo che nella storia di Fiorello diventa esemplare, e racconta qualcosa che ci interessa dell’Italia. Non esiste, credo, nessun paese al mondo in cui nell’opinione pubblica galleggia un sostrato gassoso di gaglioffismo e di infirgarderia sempre pronto a manifestarsi, come una malattia, o come un gene recessivo che si annida in un corpo e ne mina le difese. Spesso, gli stessi individui che in condizioni di normalità idolatrano un vip, sono pronti a scagliarsi contro di lui nell’invettiva, non appena per qualsiasi motivo lo vedono vacillare.
È l’Italia dei Badoglio, dei voltagabbana immortalati da Davide Lajolo, il paese della curva sud come luogo esistenziale, lo sappiamo, l’Italia che si sfoga nel web o manda buste con proiettili a qualcuno che è stato appena espulso, come Luis Orellana (ex del Movimento 5 stelle). Esiste in questa Italia contemporanea un sentimento di rancore diffuso che cerca continuamente pretesti per manifestarsi, una rabbia senza costrutto e senza fondamento, che nasce da una deficit di coscienza civile, e si accanisce contro chiunque viva un momento di difficoltà, o anche solo una sconfitta. C’è in queste invettive una radice di labilità profonda: e c’è un altro sentimento latente e inquietante, che è la deferenza verso la forza e la paura di ciò che appare vulnerabile.
Si, la storia di Fiorello ci dice questo: gli insultatori temono la debolezza perché hanno paura di riconoscevi la propria. Invece sbagliano, la debolezza, come in questo caso, può essere uno stato transitorio e nobile: la loro, invece, è solo vigliaccheria.