C’era una volta in cui il ”megafono del mondo arabo” diffondeva il verbo dei Fratelli Musulmani e i commentatori di tutto il mondo parlavano, preoccupati, di un inverno islamista che aveva soffocato la primavera. Mohammed Morsi era il presidente eletto dell’Egitto, in Tunisia comandava Ennahda e uno Stato minuscolo che galleggiava sul gas, il Qatar, si era costruito, con quella rendita energetica, un ruolo di primo piano nelle relazioni internazionali.
Adesso quel mondo non c’è più e la parabola di Al Jazeera, la rete controllata dai governanti di Doha, riflette quella del suo padrino. Nel mondo arabo è caccia ai Fratelli Musulmani, messi fuori legge nei due principali Paesi dell’area, l’Arabia Saudita e l’Egitto – dove proprio ieri sono stati condannati a morte 529 membri della Fratellanza – e il Qatar, grande sostenitore e finanziatore degli islamisti, è sempre più isolato, come è emerso nel summit annuale della Lega Araba, che si è aperto oggi. Nel corso dell’ultima riunione del Consiglio di cooperazione del Golfo Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain hanno comunicato a Doha il ritiro dei propri ambasciatori. Il ministro degli Esteri di Riad, Saud al-Faisal, ha stabilito tre condizioni per il ripristino delle relazioni diplomatiche: la consegna dei ricercati per «sostegno al terrorismo» come l’imam egiziano Yusuf al-Qaradawi, considerato uno degli ideologi della Fratellanza, la chiusura di due centri studi, il Brookings Doha Center e l’Arab Center for Research and Policy Studies, considerati vicini agli stessi Fratelli, e la fine delle trasmissioni di al Jazeera, un canale che “istiga alla rivolta”.
La rete divenne famosa nel mondo post-11 settembre e in Occidente fu accusata di fare da megafono ai fondamentalisti islamici, che spesso vi rivendicavano i loro attentati. Lo scoppio della primavera araba segnò l’apogeo per l’emittente di Doha, che fece da grancassa alle proteste e immortalò la fuga di Ben Ali, i fermenti di piazza Tahrir e soprattutto la brutale uccisione di Gheddafi. Gli islamisti presero il potere in Egitto e in Tunisia, anche con i denari del Qatar. Doha prometteva fondi ad Hamas per la ricostruzione di Gaza, finanziava la sezione libica della Fratellanza Islamica – finita maluccio alle elezioni, però – e guidava, assieme ai rivali sauditi e alla Turchia, il fronte anti-Assad in Siria.
Il tornante storico è stata la caduta di Morsi in Egitto. A partire da quel momento i Fratelli Musulmani, duramente colpiti dalla repressione targata al Sisi, hanno cominciato a rinculare un po’ ovunque. L’attivismo del Qatar si è affievolito in coincidenza con una piccola rivoluzione di palazzo, la successione dinastica, gestita dall’alto, dallo sceicco Hamad al figlio Tamim, avvenuta un mese e mezzo prima del crackdown egiziano. Al Jazeera è stata vittima di questa fase. Proprio al Cairo, dopo una serie di intimidazioni, quattro giornalisti – il corrispondente australiano Peter Greste, il capo dell’ufficio cairota, Mohamed Fadel Fahmy, di nazionalità canadese, il produttore Baher Mohamed e il cameraman Mohamed Fawzy – sono stati arrestati assieme a 16 dipendenti dell’emittente, con l’accusa di aver diffuso “notizie false” durante gli scontri di piazza, che portarono alla deposizione di Morsi, e di essere una “minaccia per la sicurezza nazionale. Ancora una volta, nel mirino ci sono i rapporti tra la rete qatariota e i Fratelli Musulmani, bollati come organizzazione terroristica.
L’obiettivo ultimo dell’asse Riad-il Cairo è la chiusura dell’emittente, che nelle ultime settimane ha cercato di resistere all’accerchiamento. Al Jazeera ha rilanciato il proprio presunto scoop sulla strage di Lockerbie, sulla cui vicenda legale aveva avanzato in passato molti dubbi. L’unico condannato per l’attentato che portò, nel 1988, all’esplosione del volo Pan Am nel cielo di Scozia è il libico Abdelbaset Al-Megrahi (morto nel maggio 2012), che ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento. I documenti mostrati dal network, invece, punterebbero il dito contro l’asse formato dall’Iran, dal libanese Hezbollah e dal Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. I palestinesi guidati da Ahmad Jabril avrebbero organizzato l’attentato dietro commissione di Teheran, che voleva vendicare l’abbattimento del volo 665 dell’Iran Air da parte dell’incrociatore Uss Vincennes, nel luglio 1988, in seguito al quale morirono 290 persone (gli americani dissero di avere scambiato il volo civile per un jet d’attacco). Per suffragare questa ipotesi, al Jazeera ha intervistato l’ex agente Cia Robert Baer e un vecchio ufficiale dell’intelligence iraniana, Abolghassem Mesbahi. La bomba sarebbe stata messa a bordo, all’aeroporto londinese di Heathrow, da un certo Abu Taib (che oggi vive in Svezia) e sarebbe stata fabbricata da Marwan Khreesat, oggi residente in Giordania.
Sono comunque tempi duri per la rete dell’emiro. Anche il tanto sbandierato sbarco negli Stati Uniti, dove il network ha acquisito le frequenze della Current Tv di Al Gore, si è rivelato sinora un flop. A sei mesi di distanza, Al Jazeera America ha solo 15.000 spettatori in prime time, secondo un’indagine della Nielsen. Ma è soprattutto l’offensiva degli altri Paesi del Golfo a preoccupare. Un report pubblicato sul giornale emiratino al-Roeya accusa l’emittente di avere tramato, assieme ai Fratelli Musulmani, per spingere gli studenti del mondo arabo a ribellarsi contro i loro governi. La joint venture tra la rete satellitare e il movimento islamista sarebbe nata già nel 2008. Del resto, gli sceicchi del Golfo hanno tutto l’interesse a presentare la primavera araba come un complotto studiato a tavolino. Il giornale cita, tra le varie fonti, l’ex corrispondente da Beirut di Al Jazeera, Bassam al-Qadiry, secondo cui l’emiro avrebbe fatto licenziare alcuni reporter per sostituirli con membri o comunque simpatizzanti della Fratellanza. Qadiry rincara la dose e parla di legami stretti con gli jihadisti di Jabhat al-Nusra, impegnati in Siria nel fronte anti-Assad, e persino con i libanesi di Hezbollah (nel 2008 Al Jazeera sarebbe venuta a conoscenza dell’assedio di Beirut da parte del movimento prima che questo avvenisse effettivamente).
Che il Qatar, in rotta con le altre monarchie sunnite del Golfo, si stia avvicinando agli sciiti, è un’ipotesi che circola da più parti, anche se l’obiettivo polemico dello scoop su Lockerbie era proprio l’Iran. Una prova, secondo alcuni analisti, sarebbe l’incontro a Doha tra il leader di Hamas, Khaled Meshaal (da tempo ospite dello sceicco Tamim) e quello della Jihad Islamica Ramadan Abdullah Shalah, uno stretto alleato dell’ayatollah Khamenei. La questione palestinese, insomma, potrebbe riavvicinare il Qatar e l’Iran.