La parità e la satira di genere della Raffaele-Boschi

L’imitazione di Maria Elena Boschi

Se serviva una vicenda illuminante e paradigmatica che ci mettesse in allarme sul nodo della cosiddetta parità di genere che molte deputate vorrebbero inserire sotto forma di emendamento nell’Italicum, è sicuramente quella di Maria Elena Boschi e della sua felice parodia, realizzata da Virginia Raffaele. 

Faccio una premessa necessaria: considero l’Italicum, e le sue liste bloccate, una vera e propria iattura: l’ho scritto più volte su questo sito, spiegandone il perché, non occorre tornarci su, se non per dire che il cuore della legge è un meccanismo che altera la rappresentanza e mette tutto il potere di designazione del Parlamento nelle mani di tre leader (investiti di un potere discrezionale pressoché incondizionato). 

Ma la questione della rappresentanza paritaria uomo-donna è tutt’altro tema: per motivi che – va detto – non vengono mai spiegati in maniera convincente da nessuna delle interessate, la stragrande maggioranza delle elette di centrosinistra e molte di quelle di centrodestra sostengono che una elevazione artificiale e vincolata del rapporto uomo-donna tra gli eletti del Parlamento produrrebbe un salto di qualità positivo nella composizione della nostra classe dirigente. Purtroppo non è vero, ed è anzi vero il contrario: in questi anni abbiamo visto approdare in politica – da una parte e dall’altra, purtroppo – battaglioni di veline, ragazze pon pon, donne-immagine, segretarie e carrieriste improvvisate. Talvolta si tratta di donne che per inseguire il successo mimano i peggiori difetti degli uomini, in altri casi si tratta di banalissime operazioni-civetta, seducenti cosmesi da marketing politico. Sono comunque meglio loro di un uomo? Difficile da dimostrare. C’è stato forse un qualsiasi segnale in cui le donne hanno votato in maniera difforme in questa nuova legislatura rispetto alle indicazioni di partito? C’è qualche decreto che abbia goduto di un dissenso “rosa”? Qualche tassa astrusa che abbia incontrato una opposizione di genere? Le donne, in quanto donne, hanno manifestato l’intenzione di non votare lo scandalo delle liste dei nominati?

Purtroppo no: le elette, vivaddìo, si comportano come gli eletti, con gli stesso pregi e gli stesso difetti. Quindi l’idea che sia possibile evangelizzare la politica cambiando il rapporto di forza tra i sessi dentro il parlamento è del tutto illusoria. Così come mi pare quasi pericolosa quella che esista un qualsiasi primato di genere. Un curioso paradosso, fra l’altro, fa si che l’unico leader donna – Giorgia Meloni – sia stato eletto proprio ieri nell’unico partito che non ha un qualsiasi strumento di garanzia per le donne: l’unica quota rosa nella cessione della leadership (se si esclude la “nominata” Stefania Giannini), insomma, si è realizzata in un partito nero.  Esattamente come è accaduto in Francia con Marine Lepen: forse perché gli uomini accettano di farsi comandare da una donna solo quando hanno una maggiore fiducia nel principio di gerarchia? Per questo è necessario che siano uomini “di destra”, e in quanto tali fedeli al principio prioritario della leadership perché possano cedere sovranità alle donne?

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Proprio qui si inserisce il caso illuminante della parodia sulla Boschi. Sono curiose le proteste di un deputato del Pd (Michele Anzaldi) e quelle – addirittura – della presidente della Camera Laura Boldrini contro l’imitazione di Michela Boschi incarnata da Virginia Raffaele a Ballarò: dice in sostanza la Boldrini che si tratta di una interpretazione degradante perché sessista. La Boschi, infatti, – nella parodia di Ballarò – viene caricaturalizzata come donna fatua che si salva dalle domande difficili, puntando sulla propria avvenenza.  Ciò che renderebbe “sessista” la parodia. Sarebbe dunque il fatto che la finta ministra per sottrarsi alla difficoltà fa gli occhi languidi i suoi capelli sono fonati al ralenty come in una telenovela e batte gli occhi corrucciando le labbra in maniera civettuola. Questo tipo di osservazioni mi paiono surreali e pericolose (almeno nel caso di Anzaldi che invocava addirittura una forma di censura in nome della salvaguardia del fantomatico “servizio pubblico”) perché non si capisce cosa dovrebbe fare la satira se non caricaturalizzare qualsiasi aspetto sensibile di un personaggio e trasformarlo in beffa. Altrimenti Crozza non avrebbe il diritto di far apparire Renato Brunetta piccolo sul seggiolone, altrimenti Fiorello non potrebbe scherzare sul cane di Ignazio La Russa e sulla voce rauca dell’ex ministro, non si potrebbe imitare il falsetto di Rosa Russo Iervolino, non si dovrebbe parlare dei tacchi e della calvizie di Silvio Berlusconi, e sarebbe indecente (sempre Crozza) parodizzare Matteo Renzi per il suo essere giovane e inesperto, a meno di non voler passare per bullisti, anti animalisti, discriminatori dell’handicap e nonnisti smaniosi di imporre discriminazioni generazionali. 

La “differenza di genere”, insomma, sta diventando il mattone su cui poggia una curiosa parodia neo-integralista per cui non puoi essere preso in giro in quanto donna, ma contemporaneamente devi essere salvaguardato ed eletto in quanto donna. La tutela di genere diventa una sorta di immunità più forte di quella parlamentare, perché ti tutela sia giuridicamente che eticamente. Ma tutto questo, soprattutto a sinistra, è un curioso ribaltamento degli ideali di uguaglianza, che declinati sulla contraddizione della guerra tra sessi produssero un mito emancipazionista (vogliamo il diritto ad affermarci come donne) mentre adesso, declinati su una malintesa visione del politicamente corretto, producono un segregazionismo al contrario (vogliamo essere tutelate, persino dagli strali della satira, in quanto donne). È per questo che la battaglia per le quote rosa non solo non mi appassiona, ma mi pare sbagliata: trasformare un bisogno di liberazione in una questione di lobbing è un errore che pagheremmo tutti.

Parlamentari vestite di bianco per chiedere l’inserimento delle quote rosa nella legge elettorale (foto Repubblica)

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