C’è una piccola tassa che incombe sui nostri telefonini, e di cui si parla in queste ore, che ha qualcosa del Grande Fratello. Non so perché Gino Paoli e Paolo Sorrentino, come tanti altri artisti italiani, abbiano firmato l’appello per la cosiddetta “tassa smartphone” da pagare all’acquisto di ogni nuovo apparecchio multimediale.
Immagino che ci siano dei motivi seri, e plausibilmente anche economici, per cui molti autori hanno sentito il bisogno di invocare un balzello su tutti i dispositivi che possono tecnicamente riprodurre prodotti audiovisivi scaricati dalla rete. Questo gettone una tantum, che verrebbe richiesto a tutti coloro che comprano uno smartphone, un tablet, o persino una semplice chiavetta usb, aumenterebbe il gettito della Siae da 175 a 200 milioni di euro l’anno.
Ma quello che considero veramente folle e inaccettabile, di questa tassa, è il principio di colpa presunta che lo ispira: visto che hai uno smartphone, dicono infatti gli artisti che chiedono l’imposizione del tributo, sicuramente dobbiamo presumere che lo userai per scaricare musica o cinema in maniera illegale. Quindi quel balzello che ti chiediamo al momento dell’acquisto, è l’obolo che ci devi corrispondere per emendarti dei tuoi futuri (ma certi) peccati di pirateria.
Trascuriamo, solo per un attimo, il danno per i produttori e per i venditori. Se avessero ipotizzato questa tassa per una finalità di scopo populista ma perlomeno nobile (ipotizzo: per comprare computer e apparati mediali e audiovisivi ai bambini nelle scuole) mi sarei arrabbiato di meno. Ma in questi termini siamo al paradosso: sarebbe infatti come se l’Aci ti chiedesse cento euro quando compri una macchina ipotizzando che probabilmente in futuro prenderai delle multe o danneggerai gli arredi urbani andando a sbattere, come se lo stabilimento balneare ti imponesse una gabella aggiuntiva perché presumibilmente ti farai soccorrere dal bagnino dopo esserti comportato in un modo imprudente quando ci sono i cavalloni. Sarebbe come se quando ti vendono una piccozza e una imbracatura per andare un montagna ti mettessero una tassa per finanziare l’elisoccorso immaginando che potresti essere salvato perché magari sarai improvvido e ti infilerai in un crepaccio.
C’è insomma, nella battaglia anacronistica per introdurre questa tassa, qualche elemento vagamente orwelliano, qualcosa che ricorda le profezie dei precog di Philip K. Dick in Minority Report, qualcosa che in prospettiva è terribilmente pericoloso: io ti considero potenzialmente colpevole perché acquisti la potenzialità di commettere un reato, e proprio perché ti stai concedendo un bene di consumo di alto livello. Sarò forse uno dei pochi (o dei tanti) italiani che fino ad oggi ha istallato sul suo Iphone solo musica scaricata legalmente: ma se la pirateria è un reato, deve essere punito chi lo commette, non chi potrebbe commetterlo. Per questo opporsi alla tassa smartphone non significa (solo) opporsi ad una imposizione di tre o cinque euro, ma resistere alla battaglia che vuole introdurre, insieme a questo tributo, un principio pericolosissimo: quello della tassa differita e preventiva.