Una Lombardia a statuto speciale, come la Sicilia, il Friuli Venezia Giulia o le province di Trento e Bolzano. Dopo il fallimento della macroregione (progetto secondo alcuni ancora «realizzabile e attuale») e il referendum online per il Veneto indipendente, anche nelle valli lombarde ci si inizia a muovere per ottenere “l’indipendenza” dallo stato centrale. Ma in modo più concreto, perché potrebbe passare per l’aula consigliare, intercettando i voti del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo e magari di altre realtà politiche di minoranza. A portare avanti il progetto è il «mite» professore Stefano Bruno Galli, in ambienti di sinistra spesso definito come «un leghista democratico», consigliere regionale al Pirellone per la lista Maroni, autonomista radicale da tempo impegnato in una dura battaglia per la Lombardia autonoma, ma in parte smarcato – su un altro piano – dagli slogan della Lega Nord di Matteo Salvini. Del resto, il referendum sul Veneto è stata la conferma che il Carroccio ha disatteso le richieste di una larga fetta di elettorato indipendentista, che è stato appeso per anni agli slogan di Umberto Bossi prima e Roberto Maroni poi, senza ottenere risultati. Bruno Galli illustrerà la proposta nei prossimi giorni.
E parte da una considerazione molto semplice: «L’autonomia politica e amministrativa delle Regioni è un valore di rango costituzionale sancito dall’articolo 114, comma 2, Cost. la cui estensione è disciplinata dal Titolo V della Costituzione e da altre leggi costituzionali. E deve essere intesa quale processo di crescita sociale del Paese, attraverso una organizzazione ottimale dei soggetti istituzionali che costituiscono la Repubblica ai sensi dell’art. 114, comma 1, Cost. in un’ottica che valorizzi il principio di sussidiarietà e che non sia di ostacolo a un’autonomia anche a “geometria variabile”. Per questo motivo, sostiene il professore di Scienze e Politiche all’Università Statale di Milano, «L’autonomia della Regione Lombardia, nonché quella delle altre Regioni, con i connessi benefici economici, deve considerarsi la strada maestra allo scopo di consentire al Paese di riguadagnare il terreno perduto, in termini di efficienza e governabilità, rispetto al contesto internazionale».
Da anni si discute della necessità di riorganizzare il sistema istituzionale italiano. Il primo fu Gianfranco Miglio, storico teorico del pensiero leghista, che nell’Asino di Buridano scriveva che ci sarebbe stato bisogno di «rivedere (e aggiornare) l’elenco dei settori di competenza, prescritto dall’articolo 117 della Costituzione (che è ormai superato ed è diventato irrazionale). Bisognerà stabilire con chiarezza che le Regioni non sono soltanto autorizzate, ma addirittura tenute a cercare e a favorire accordi tra loro: seguendo e assecondando il naturale intreccio interregionale dei bisogni e degli interessi». Del resto, come sostiene Bruno Galli «sono ormai innumerevoli le istanze – presentate in Regioni diverse e nelle forme più svariate, da Nord a Sud del Paese – finalizzate ad acquistare più incisive competenze per la gestione del territorio e dei servizi».
E’ un concetto che ha cavalcato nelle ultime settimane anche il leader del Movimento Cinque Stelle Beppe Grillo, con un post sul suo blog dove ha scritto nero su bianco che “per far funzionare l’Italia è necessario decentralizzare poteri e funzioni a livello di macroregioni, recuperando l’identità di Stati millenari, come la Repubblica di Venezia o il Regno delle due Sicilie”. E in questo senso la proposta di Bruno Galli potrebbe trovare largo consenso pure tra i grillini: bastano i due terzi del consiglio perché sia approvata. Del resto, si legge nella proposta «le regioni a Statuto speciale gestiscono in proprio una percentuale variabile di fiscalità che oscilla tra il 75% del Friuli e Venezia Giulia al 100% della Sicilia in applicazione del principio, ormai riconosciuto dalla dottrina, che le risorse rimangano sui territori dove sono state generate. E i requisiti propri della Lombardia configurano senza ombra di dubbio una realtà “speciale” sotto il profilo storico, politico, amministrativo, economico e sociale che rendono la Regione pienamente idonea ad avanzare richieste di una maggiore autonomia, che la collochi ai confini del federalismo rispetto allo Stato centrale».
E in questo senso, «basti solo ricordare l’entità del suo Pil (circa il 21% di quello del Paese), la spesa pubblica della Lombardia, che ammonta a circa il 40% del Pil territoriale, il suo residuo fiscale che grava su ogni cittadino lombardo e che nel 2012 ha sfiorato i 60mld di euro e i suoi costi standard nelle prestazioni e nei servizi, come recentemente comprovato nell’applicazione dei costi standard nel settore della sanità». Allo stesso tempo Salvini proporrà cinque referendum nei prossimi giorni che prevedono l’abolizione della Legge Merlin, della legge Fornero, l’abolizione delle prefetture, no ai concorsi per gli immigrati e l’abolizione della legge Mancino sui reati d’opinione. Alle Europee la Lega gioca per la sopravvivenza, raggiungere il 4% resta il punto di non ritorno tra il vivere e morire. E se le cose dovessero andare male chi intercetterà la voce del Nord?