Oggi il Corriere della Sera annuncia con grande enfasi una notizia che forse mi dovrebbe preoccuparci: “Torna la 124 spider”, annuncia in Prima pagina il quotidiano di via Solferino, rivelando l’ultimo progetto di Sergio Marchionne. Ma in realtà sono molti i dubbi che questa ennesima operazione amarcord ci pone. Il primo è di metodo. Sembra infatti che in questo Paese l’idea stessa di innovazione sia ormai diventata un tabù: il marketing nazionale, dalla televisione alla cultura, al cibo, sembra sempre imperniato sull’ossessione di un eterno ritorno a un Eden perduto, a un’età dell’oro lontana, che fissa come massima aspirazione il sentimento dolente della nostalgia e del recupero di un qualche surrogato vintage. Non è un caso che la 124 evocata in queste ore sia un mito degli anni Sessanta, che inizia la sua produzione nel lontano 1966. Una 124 Sport Spider era – non a caso – la vettura di Gianni Morandi in un musicarello del 1968, “Chimera”. E un altro esemplare, la 124 Spideramerica, venne utilizzata nel 1974 per la produzione il film della Walt Disney “La gang della spider rossa” con il mitico David Niven. Altra epoca, altri tempi.
Però c’è un’altra questione, di maggiore sostanza: questa Fiat 124 è di fatto un ripiego, se non un piccolo bluff. Il nuovo modello nasce infatti senza nessuna parentela con il suo antenato vintage: non è un remake studiato ad hoc come il New Beatle (ben due, in dieci anni), la nuova Mini della Bmw o anche la nuova 500 (la “piccola grande macchina” reclamizzata da in queste ore da Paolo Sorrentino), ottime operazioni di riesumazione teconologicamente evolute: si tratta invece di un prototipo che prende forma come parto germinale della cabrio Mazda Mx5. Non nasce da una ispirazione e da un progetto mirato, ma da una joint venture che produce un doppione commerciale.
Fiat 124 Abarth (da Flickr – Maurizio Montanaro)
In un primo momento la Fiat aveva addirittura pensato a marchiare la gemella della Mazda Mx5 con gli emblemi dell’Alfa Romeo: ma dopo la fusione di Fca, lo stesso Marchionne avrebbe deciso di non spendere la credibilità del Biscione per un prodotto poco in linea con l’identità di un marchio che oggi si immagina sulla via del rilancio. Non è un problema da poco, visto che un’altra operazione di “ripecettatura”, quella della presunta nuova Lancia Flavia (in realtà una Chrysler 200 decappottabile) è stata un mezzo fiasco di mercato, un modello che ha venduto una cifra oscillante tra i cinquanta e i venti esemplari al mese nell’ultimo anno.
Forse, partendo da queste condizioni, gli uomini del mitico centro stile Fiat faranno comunque un miracolo, forse la macchina alla fine sarà bella come l’altra coproduzione prodotta in partnership con la Mazda, la monovolume disegnata da Giugiaro. Ma forse, proprio per questo, sarebbe meglio inseguire l’innovazione piuttosto che la riesumazione: l’Italia potrà avere un futuro solo quando smetterà di rimpiangere il suo passato.