Sanzioni o non sanzioni alla Russia? La discussione che vede impegnati questo giovedì i capi di Stato e di governo dell’Ue al summit straordinario sull’Ucraina verte su questo quesito. Con i più focosi anti-russi (repubbliche baltiche, Polonia, ma anche la Svezia) accesissimi nel chiedere sanzioni personali contro la dirigenza di Mosca, e i più prudenti – Germania in testa, ma anche Italia, Francia, Spagna, che non vogliono bruciarsi tutti i ponti con Vladimir Putin e il suo entourage. Anche Berlino – e questo lo ha detto a chiare lettere il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinemer, in prima linea nelle febbrili attività diplomatiche per sventare il peggio – sa però che ormai una qualche misura di durezza deve esserci se si vuol sperare di fare pressioni sul presidente russo con un minimo di credibilità.
E così si sta lavorando in queste ore alle misure “mirate” già individuate lunedì scorso dai ministri degli Esteri. E cioè la sospensione di almeno due importanti negoziati. Stiamo parlando di quello – lanciato nel 2008 – per un nuovo trattato Ue-Russia in sostituzione dell’ormai superato accordo del 1997, e di quello sulla facilitazione dei visti, cui Mosca tiene moltissimo.
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Partiamo dal primo. Dal 1997 è in vigore un trattato siglato nel 1994 da una Russia fresca del crollo dell’Unione Sovietica, economicamente debole, e ansiosa di integrarsi con l’Europa. Nell’accordo del 1997 si parla di «creare un quadro appropriato per il dialogo politico tra le parti per sviluppare strette relazioni»; tra gli obiettivi aiutare la Russia a rafforzare le libertà economiche e politiche, consolidare la democrazia, fare le riforme economiche, ma anche «fornire un quadro per la graduale integrazione tra Russia e una più ampia area di cooperazione in Europa», nonché «creare le condizioni necessarie per il futuro stabilimento di un’area di libero scambio tra la Comunità e la Russia che copra sostanzialmente tutto il commercio in beni tra loro, nonché le condizioni per attuare la libertà di stabilimento delle imprese, commercio transfrontaliero in servizi e movimenti di capitali». Nel 2005 si aggiunse l’accordo per la creazione di quattro «spazi comuni», e cioè lo spazio economico comune; la cooperazione nell’ambito della libertà, della sicurezza e della giustizia; la sicurezza esterna; la ricerca, la formazione e la cultura. Il tutto con due summit l’anno tra i vertici di Ue e Russia, più incontri a livello ministeriale per i vari settori. Collegato a questo è anche un partenariato, lanciato nel 2010, per la modernizzazione dell’economia e dell’infrastruttura russa, ma anche dello Stato civile, con l’aiuto dei più avanzati Stati dell’Ue (Germania in prima fila).
Erano gli anni in cui Europa e Russia avevano la sensazione di una crescente integrazione, al punto che il 27 giugno 2008 – era presidente russo Dmitry Medvedev – in un vertice in Siberia si decise che occorreva un nuovo, più ampio accordo. Un accordo, scrivevano i leader di Ue e Russia in una dichiarazione comune, che «fornisca un quadro globale per le relazioni Ue-Russia nel futuro prevedibile» per «una base legale rafforzata e impegni giuridicamente vincolanti che coprano tutte le aree di queste relazioni incluse nei quattro spazi comuni Ue-Russia». Il tutto con anche «soluzioni istituzionali» per un «efficiente funzionamento delle relazioni Ue-Russia».
Progetto ambizioso che a detta di varie fonti diplomatiche ha compiuto importanti progressi, anche se negli ultimi anni i negoziati hanno fortemente rallentato come conseguenza del raffreddamento delle relazioni tra le due parti, sia per la crescente repressione del dissenso da parte di Putin, sia per misure economiche sgradite all’Ue – dal “pedaggio” imposto agli aerei europeei che sorvolano la Siberia a una lunga seria di misure protezionistiche da parte russa a dispetto dell’adesione di Mosca – con il pieno sostegno europeo – al Wto nel 2012. Sia, inoltre, per l’avvio di un’unione doganale tra Russia, Kazakhstan e Bielorussia che non appare compatibile con uno spazio di libero scambio con l’Ue.
L’altro negoziato, lo dicevamo, che rischia la sospensione riguarda quello sulla facilitazione dei visti. Facilitazione in realtà già in parte in vigore dal giugno 2007, con impegni anche a riprendersi clandestini giunti dal territorio di una delle due parti nell’altre e numerose eccezioni per varie categorie. Quello che si sta negoziando è un ulteriore allentamento dell’obbligo di visto, con un più ampio numero di eccezioni in vista dell’obiettivo finale, che è quello dell’abolizione dell’obbligo di visto. Sarebbe una logica conseguenza di quello che, fino a non molto tempo fa, sembrava una crescente integrazione tra Russia e Unione Europea. Nel 2011 Russia e Ue hanno anzi concordato una serie di “passi comuni” per raggiungere quel traguardo. Passi – che riguardano soprattutto aspetti relativi alle migrazioni e alla sicurezza – che comunque avrebbero richiesto parecchio tempo. Sospendere i negoziati sulla facilitazione dei visti potrebbe comportare un nuovo innalzamento delle barriere tra Ue e Russia anche sul fronte del movimento delle persone e degli operatori economici – dannoso per entrambi.
Più in generale, la sospensione dei negoziati su questi due accordi ha una portata soprattutto politica e simbolica – visto che comunque sarebbero andati avanti ancora per anni – di un progressivo, pericoloso, estraniamento della Russia dall’Europa. Non è un caso se Paesi come la Germania, ma anche l’Italia, sperano fino all’ultimo in un cambio di rotta di Putin che permetta di evitare questo drastico passo. Gli interessi in gioco, si sa, sono immensi, basti dire che la Russia è il terzo partner commerciale dell’Ue e quest’ultima il primo di Mosca. L’Ue inoltre importa il 20% del petrolio e il 45% del gas proprio dalla Russia. È molto difficile per l’Europa pensare di fare a meno di questo colosso euroasiatico suo vicino. Un rebus di difficile soluzione.