L’escalation della crisi in Ucraina non diminuisce, né dal punto di vista diplomatico né da quello finanziario. Anzi, è proprio quest’ultimo fronte che preoccupa maggiormente gli investitori internazionali. Domenica prossima, il 16 marzo, si terrà il referendum per l’annessione della Crimea alla Russia. Un quesito referendario dall’esito quasi scontato, che però rischia di innescare un terremoto finanziario intorno alla penisola contesa tra Mosca e Kyiv.
I segnali che portano a un possibile peggioramento del dissesto finanziario dell’Ucraina sono tanti. La crisi in Crimea, i cui cittadini decideranno questo weekend se diventare o meno parte integrante della Russia, può scatenare un putiferio sui mercati. Sebbene non sia stato ufficialmente riconosciuto a livello internazionale, il referendum può essere il detonatore di qualcosa di molto più profondo. Una settimana fa, infatti, il vicepremier della Crimea, Rustam Temurgaliyev, ha spiegato che l’intera area è pronta all’adozione del rublo, la moneta russa, in un arco di tempo ragionevolmente breve. «Tecnicamente siamo già pronti ad adottare il rublo per le nostre transazioni, siamo molto vicini all’autonomia». Parole che lasciano intendere, se ancora non fosse chiaro, che la Crimea non ha intenzione di continuare a essere parte integrante dell’Ucraina, come invece ripete in ambito internazionale il nuovo primo ministro ucraino Arseniy Yatsenyuk. A gettare benzina sul fuoco ci ha pensato il premier della Crimea, ovvero Sergey Valeryevich Aksyonov, che ha ribadito che, a seguito del voto di domenica prossima, la regione in questione entrerà a far parte della Russia nell’arco di un mese. Dalla padella alla brace? È da vedersi.
La tensione sui mercati finanziari, alla vigilia del voto in Crimea, è elevata. Il segretario di Stato Usa John Kerry ha parlato di circa 20,000 soldati russi stanziati nella penisola, a presidio degli obiettivi strategici. Allo stesso tempo, il Kyiv Post, il principale quotidiano ucraino in lingua inglese, ha riportato che diverse filiali bancarie in Crimea sono presidiate dalle forze armate con effigi russe. I media di Mosca, da Channel One a Russia Today, considerano già concluso il voto in Crimea, sottolineando come la Russia sia già pronta ad accogliere l’intera regione, sia da un punto di vista politico sia da un punto di vista commerciale, così come quello economico-finanziario. «Noi rispetteremo qualunque esito del referendum in Crimea», ha spiegato in conferenza stampa il ministro russo degli Affari esteri Sergej Lavrov, dopo i colloqui bilaterali con Kerry. È lecito quindi attendersi una risposta significativa sui mercati finanziari all’apertura di lunedì.
Un preludio di ciò che potrebbe succedere sulle Borse si è già visto oggi. Il Micex, principale indice azionario russo, è calato del 5,2% nell’ultima seduta di ottava, registrando il livello più basso dall’ottobre 2009. La caduta ha diverse ragioni, non per forza legate alla crisi in Crimea. Si passa dalla possibilità di sanzioni – via via più pesanti economicamente – da parte di Stati Uniti ed Europa alla minaccia di un conflitto. Questa però non è la visione di Alberto Gallo, capo della divisione European credit strategy di Royal Bank of Scotland, e del suo team. «Continuiamo a ritenere possibile un conflitto in Ucraina», ha scritto Gallo nel suo report quotidiano. È questa la visione anche della maggior parte delle banche d’investimento globali che, nonostante lo stress sia sempre più significativo, non vedono avvisaglie di guerra.
La battaglia, tuttavia, è già iniziata sul fronte finanziario. Il fuoco incrociato dei governanti della Crimea e dei politici russi, poi le parole dei banchieri centrali russi. In particolare, negli scorsi giorni è stato il numero uno della Bank Rossii, Elvira Nabiullina, a lasciar intendere che potrà esserci un pieno supporto alla Crimea. Poi, sono arrivate le dichiarazioni del chairman di PrivatBank, Oleksandr Dubilet, che ha espresso «viva preoccupazione» sulla situazione nella penisola. PrivatBank, che è la prima banca commerciale ucraina, ha infatti registrato «rilevanti code agli sportelli presenti in Crimea» dopo l’adozione di un piano di contingenza che prevede una limitazione al prelievo di contanti nell’area in questione. Traduzione: i cittadini della Crimea non possono ritirare dai bancomat più di 1.500 hryvna, l’equivalente di 150 dollari, al giorno. Uno scenario come quello che si è vissuto a Cipro nel marzo di un anno fa. «Nei fatti, tutte queste limitazioni sulla libera circolazione dei capitali e tutte le dichiarazioni dei banchieri russi in queste ultime due settimane non fanno altro che pensare che la Crimea sia già parte della Federazione russa», ha scritto oggi HSBC in una nota. Per averne la certezza, occorrerà attendere lunedì.