Gorky ParkPer la primavera di Kiev bisognerà aspettare ancora

Manca l’intesa economica con l’Europa

Venerdì 21 marzo l’Ucraina ha firmato la parte politica dell’Accordo di associazione (AA) con l’Unione europea. Per quella economica non è stato previsto un calendario preciso, anche se Bruxelles ha promesso a Kiev un supporto finanziario che, insieme a quello degli Stati Uniti e del Fondo monetario internazionale, dovrebbe consentire la stabilizzazione del Paese e condurre successivamente all’intesa con l’Ue. Il condizionale è d’obbligo, dato che è ancora l’emergenza interna a dettare l’agenda e gli effetti collaterali della crisi internazionale sono ancora tutti da vedere.

È certo comunque che con la sottoscrizione della parte politica dell’AA si è completato l’ennesimo ribaltamento: esattamente quattro mesi dopo l’inizio delle proteste nella capitale ucraina contro il presidente Victor Yanukovich – cominciate il 21 novembre del 2013, quando il governo dell’allora premier Mykola Azarov aveva annunciato che il processo per la firma dell’AA era stato ufficialmente sospeso – si è compiuto anche il paradosso della seconda rivoluzione di Maidan. Se la sottoscrizione della parte politica dell’AA era stata congelata dall’Unione ai tempi di Yanukovich a causa del caso di Yulia Tymoshenko e su quella economica in realtà era stata fatta chiarezza sin dal marzo del 2012, quando l’accordo era stato parafato a Bruxelles, ora le parti si sono invertite.

Il governo di Arseni Yatseniuk ha raggiunto l’intesa politica, ma quella economica è finita in freezer: nuove trattative saranno necessarie alla luce della disastrosa situazione in cui versa l’ex repubblica sovietica per facilitare l’eventuale passaggio verso l’area comune di libero scambio che con le regole attuali potrebbe costringere Kiev e soprattutto qualche oligarca a sacrifici di troppo. Il paradosso all’interno del paradosso è che lo stesso Yanukovich, nel suo gioco al rialzo tra Bruxelles e Mosca, aveva chiesto modifiche alla parte dell’AA che, prima negate con motivazioni politiche, saranno probabilmente concesse grazie a ragioni analoghe. La firma di venerdì 21 marzo a Bruxelles è stata in sostanza un “gesto di solidarietà” verso l’Ucraina, come l’ha definito la cancelliera Angela Merkel, anche per dimostrare una certa compattezza europea verso la Russia. È evidente però che la linea europea non potrà diventare troppo dura nei confronti di Mosca: in primo luogo perché le sanzioni di quella che è prospettata come la “fase 3” (provvedimenti economici e finanziari a largo raggio) sarebbe controproducente per la stessa Europa, e soprattutto per la Germania che con la Russia ha i più stretti rapporti; in secondo luogo perché dalle probabili contromisure del Cremlino sarebbe proprio l’Ucraina a soffrire per prima. E con i tempi che corrono, Kiev non si può permettere, al di là della retorica, di arrivare alla completa degenerazione dei rapporti con la Russia.

Oltre al duello sulla scacchiera internazionale, nel quale Yatseniuk ha ricevuto le pacche sulle spalle delle cancellerie occidentali – gli aiuti finanziari promessi sul medio-lungo periodo tra Bruxelles e Washington non sono però a fondo perso e legati a riforme che richiederanno lacrime e sangue agli ucraini – l’Ucraina rischia presto di scollarsi sul versante interno. L’opposizione che ha cacciato Yanukovich e ora ha le redini del potere sta mostrando le sue prime inevitabili divisioni. Il governo di Arseni Yatseniuk è costituito da due blocchi, quello di Patria (Yatseniuk-Tymoshenko) e Svoboda (Oleg Tiahnybok). Udar di Vitaly Kitschko è rimasto sin dall’inizio fuori dai giochi per scelta propria: l’ex campione dei pesi massimi correrà per le presidenziali del 25 maggio nelle quali si troverà di fronte come sfidanti più quotati l’oligarca Petro Poroshenko e l’eroina della rivoluzione arancione che se fino a poco tempo fa era ridotta su una sedia a rotelle, dopo un breve soggiorno a Berlino, è tornata a Kiev per riprendersi qualche rivincita. Se le acque tra i moderati sono agitate – adesso che non c’è più il nemico comune e la lotta è interna – le cose non vanno certo meglio tra questi ultimi e l’ala dura sia del governo che dell’opposizione extraparlamentare e paramilitare, quella che si è istituzionalizzata sulle barricate nei mesi scorsi e ora con Dmitri Yarosh e il suo Pravyi Sektor si appresta a combattere anche nell’arena politica.

Il primo screzio istituzionale si è avuto quando il segretario del Consiglio di sicurezza nazionale, Andrei Parubyi, ex comandante di Maidan e legato alla destra radicale, ha scavalcato Yatseniuk, annunciando l’introduzione del visto per i cittadini russi, misura che il governo ha dovuto smentire il giorno dopo per non provocare un disastro. L’aggressione di un gruppo di deputati di Svoboda al direttore di un canale televisivo accusato di essere filoputinaino ha irritato Klitschko, e se Yatseniuk si è limitato a condannare l’episodio, il leader di Udar ha chiesto le dimissioni dei parlamentari coinvolti. Le vicende sono sintomatiche ed evidenziano come al suo interno il blocco di potere sia a dir poco molto eterogeneo e la campagna elettorale, che non è entrata ancora nel vivo, presto riscalderà ulteriormente l’atmosfera, soprattutto tra Klitschko e Tymoshenko. Senza contare che gli oligarchi hanno mantenuto le loro posizioni e Pravyi Sektor ha dichiarato che è pronto a una seconda rivoluzione se il nuovo governo e il nuovo presidente non manterranno le promesse fatte su Maidan. La primavera a Kiev tarderà a sbocciare.  

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