Renzi non rottama il rigore tedesco (ma lo incrina)

Il tour europeo del premier

Una cosa si può certamente dire: il governo tedesco, a cominciare dalla cancelliera Angela Merkel, ha riservato a Metteo Renzi a Berlino un’accoglienza piuttosto calorosa. La Merkel è stata quasi espansiva, si è detta (e non è la prima volta) «molto colpita» dai piani di riforma del giovane ex sindaco di Firenze, ha parlato di «messaggio che tutti salutiamo con favore». La leader tedesca, è noto da tempo, ha simpatia per Renzi, una simpatia dimostrata già a luglio 2013 quando ricevette per un breve colloquio a quattr’occhi, a Berlino, quello che allora era «solo» sindaco del capoluogo toscano.

Pacche sulle spalle, incoraggiamenti – «bisogna avere il respiro lungo, le riforme prendono tempo, noi tedeschi lo sappiamo bene», «non ho dubbi sulla sua volontà di riforma» – che certamente faranno bene al presidente del Consiglio. Del resto, la Germania, quando pensa all’Italia, è arrivata davvero allo stremo: dopo Berlusconi-Monti-Letta – e pochissime cose fatte – Renzi sembra quasi l’ultima spiaggia. Berlino ha ben registrato le elezioni del febbraio 2013, quando oltre metà degli italiani ha scelto o Silvio Berlusconi o Beppe Grillo. Visto che almeno a parole Renzi sembra star puntando sulle priorità giuste – lavoro, giovani, competitività -, Berlino vuole certamente dargli una mano. 

Il punto però è che, al di là di incoraggiamenti, sorrisi e pacche sulle spalle, Berlino un messaggio l’ha dato: la linea del rigore sostanzialmente non cambia, anche se il governo tedesco sa che, soprattutto di fronte all’instabilità politica italiana e alle europee di maggio non si può tirare troppo la corda. E certo, negli ultimi tempi – complice anche il cambio di coalizione, dai liberali ai socialdemocratici – la Merkel si è mostrata più sensibile ai temi della crescita. Lo spettro delle europee di maggio, con la probabile avanzata di movimenti euroscettici o apertamente anti-Ue, o, come in Francia, apertamente di estrema destra, aleggia in tutta Europa. Berlino non permetterà, questo è certo, di ricominciare alla grande con la spesa pubblica per far partire, keynesianamente, l’economia, a Berlino ancora non va giù. Basti dire che il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble (Cdu) si è fatto un vanto di aver programmato per quest’anno un bilancio in pareggio, rinunciando a ridurre la pressione fiscale, nonostante un gettito record, vista l’economia in ottime condizioni. «È un’assicurazione per il futuro», ha detto. E dunque consentire all’Italia, che oltretutto ha un debito che a gennaio è arrivato al record di 2.089,5 miliardi di euro (quasi il 134% del Pil), di riallargare il deficit è un’idea che a Berlino non piace. Non a caso l’edizione apparsa questo lunedì die Die Welt, giornale tradizionalmente molto vicino alla Cdu di Angela Merkel, parlava di «provocazione» o anche di «dichiarazione di guerra» alla politica economica del governo tedesco da parte di Renzi. «La cancelliera ha accolto con cordialità il premier italiano – si leggeva anche in un dispaccio della principale agenzia di stampa tedesca, la Dpa – ma la posizione del governo tedesco resta granitica: per la cancelliera il consolidamento dei conti pubblici resta priorità numero uno».

Angela Merkel, sornionamente, lo ha fatto capire con le frasi di rito: «per me è chiaro che l’Italia rispetterà il Patto di stabilità e crescita in entrambe le sue componenti: crescita e occupazione da una parte e dall’altra stabilità e riconoscimento del Fiscal Compact». E poi ancora: «il premier dice che le regole del Patto di stabilità e di crescita per l’Italia restano valide. Non ho la minima ragione per dubitarne». E’ un po’ la linea della Commissione Europea: bene le riforme, ma attenzione ai conti pubblici, non c’è da scherzare. Per chi non l’avesse capito, a esplicitarlo ci ha pensato Schäuble incontrando il suo omologo italiano Pier Carlo Padoan: «Il ministro (tedesco, ndr) – si legge in una nota del ministero delle Finanze di Berlino – ha salutato favorevolmente l’obiettivo del governo italiano di accelerare il ritmo delle riforme per aumentare produttività  e crescita e ridurre l’alta disoccupazione giovanile. E’ però anche giusto che il consolidamento delle Finanze statali attraverso le riforme strutturali non sia rinviato». La Germania, come la Commissione Europea, resta preoccupatissima per il gigantesco debito italiano, che rappresenta una grave minaccia per tutta l’eurozona se mai i mercati dovessero tornare a dubitare della solvibilità italiana – non ci sarebbe fondo salvastati che tenga (l’attuale, l’Esm, ha in tutto 500 miliardi in cassa, troppo pochi per l’Italia).

Per questo ottimo se davvero Renzi riuscirà a far ripartire l’economia grazie a vere riforme strutturali. Il percorso di riduzione del debito, però, deve continuare senza alcun rinvio e anzi rafforzarsi, e questo vuol dire migliorare il deficit strutturale (la commissione chiede una correzione dello 0,5% del pil, circa 7,5 miliardi di euro). Per questo la Commissione Europea storce il naso quando sente parlare di aumentare il deficit nominale dal 2,6% previsto per quest’anno al 2,8%, come sembra volere Renzi (che comunque a Berlino ha giurato di voler rispettare la soglia del 3%), visto che farebbe aumentare anche il disavanzo strutturale e dunque il debito. Soprattutto Schäuble la vede così, ma Berlino sa anche che l’Italia ha urgentissimo bisogno di ossigeno per le riforme. Il messaggio velato di Angela Merkel è: niente dérapage sui conti pubblici italiani, occhio al debito, ma se Renzi, oltre che a prometterle a forza di slides e Powerpoint, attuerà davvero le riforme in Parlamento, potrebbe essere plausibile che entro due-tre anni – come dice Padoan – arrivi una ripresa sostanziosa del pil che aiuterebbe anche il debito. E allora, senza un avallo ufficiale, come scrive Spiegel Online, può essere che, di fronte a un deficit al 2,8% anziché al 2,6% (purché, appunto, nel rispetto della soglia del 3%), succeda che Renzi dica a Merkel: «ooops, scusa Angela», e lei risponda, «va be, dài, per questa volta passi». Le riforme però dovranno essere vere. E credibili.

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