Claudio Bettio, Stampa fotografica digitale da negativo colore [Investigazioni private. Workshop di Francesco Jodice, a cura di Carlo Sala]
Il fotografo ha ritratto quale simbolo della crisi, come il gigantesco capannone vuoto della Maber Immobiliare s.r.l. alle porte di Treviso. Con i suoi scatti fa riflettere su un luogo che in questo momento è troppo grande e costoso per trovare un acquirente o per essere rimosso. Di questo progetto rimane oggi un insediamento non ancora finito ma già rudere. Come riconvertire questo luogo e dargli una nuova vita produttiva? L’autore non fornisce una risposta, ma pone un interrogativo aperto.
ASOLO (TREVISO) – Il 2012 forse è stato l’anno peggiore. Treviso si è dimostrata la provincia dei record negativi: nel Veneto è stata la più colpita dalla crisi. Delle 1.192 crisi aziendali venete oltre 350 sono state aperte nella Marca, con un aumento del 70% rispetto al 2011, per un totale di oltre 6mila lavoratori coinvolti. Treviso è stata dunque al primo posto, con uno scarto rilevante su Padova (272 aperture in totale), Vicenza (197) e Venezia (180). A soffrire maggiormente il settore metalmeccanico (82 crisi aperte) e quello del legno arredo (84), seguiti dall’edilizia e dall’abbigliamento, con 29 trattative ciascuno. Delle procedure avviate nel 2012 oltre la metà erano già concluse alla fine del primo semestre del 2013. Il che non è necessariamente un buon segno. Evidentemente la governance locale, a vari livelli, non ha avuto la capacità di fare il salto di qualità per passare da uno sviluppo praticamente spontaneo, e incontrollato, a uno sviluppo sostenibile, con una programmazione di interventi seri in grado di sostenere il sistema produttivo nella trasformazione.
Il 2012 è stato così l’anno nero e sembra trascorso un decennio. Perché se dal punto di vista statistico i numeri dicono che la crisi è in atto a cambiare è stata la pelle delle aziende. Nell’ottobre scorso l’addio da parte di Benetton a una ottantina di fornitori ha scatenato una reazione. Il tessile di Treviso ha avviato una rivoluzione. La necessità ha spinto verso progetti di rete e ha fatto superare vecchie idee di provincialismo. Quelli che erano i fornitori di Benetton hanno iniziato a condividere idee, commesse e strategie. Un primo passo.
Ancora Treviso non sa quale tessuto sociale dovrà aspettarsi nel 2015. Né le aziende sanno come sarà formato il proprio fatturato. E un momento di transizione storica che verrà studiato per i prossimi decenni. Intanto non resta che sperimentare. All’Hangar, La Fornace dell’Innovazione ad Asolo (TV) Confartigianato della Marca Trevigiana, Confartigianato Imprese, sezione Fotografi e Fondazione Francesco Fabbri rifletterono assieme sul tema della crisi. Inaugurano la mostra fotografica INVESTIGAZIONI PRIVATE con la volontà di usare l’obiettivo fotografico per raccontare il cambiamento di pelle delle aziende. Oggi alle 16.30 – durante il convegno “Riflessioni sulla crisi” – si discuterà alla presenza di imprenditori e studiosi, tra i quali Andrea Granelli e Giovanna Segre, della situazione economica che sta investendo il Nordest e in particolar modo la provincia di Treviso: una serie di considerazioni a partire dalla storia specifica di imprese che grazie all’innovazione e lucida visione hanno saputo affrontare questa particolare congiuntura riscuotendo successi anche nei mercati esteri. A introdurre i lavori saranno Francesco Giacomin, Presidente Fondazione La Fornace dell’innovazione, Mario Pozza, Presidente di Confartigianato Marca Trevigiana, Giustino Moro, Presidente della Fondazione Francesco Fabbri e Maurizio Besana, Presidente nazionale di Confartigianato Fotografi.
Marina Caneve e Gabriele Rossi, The Big Deal, 2013, Stampa fotografica digitale da negativo colore [Investigazioni private. Workshop di Francesco Jodice, a cura di Carlo Sala]
I due autori hanno realizzato il progetto fotografico The Big Deal ispirandosi alla definizione etimologica del concetto di crisi ( lat. crísis dal gr. krísis, che tiene a kríno separo), ritraendo il letto del fiume Piave al divergere delle due anse.
Questa separazione fisica è una metafora visiva della cesura e profondo cambiamento del tessuto sociale e umano dei territori del Nordest prodotto dagli accadimenti di questi anni. Queste immagini di tipo paesaggistico sono anche una sorta di introduzione ai territori dell’Alta Marca in cui ha avuto luogo il workshop e una parte delle ricognizioni fotografiche.
Dal rapporto datato 2013 “Distretti industriali tra crisi e cambiamento evolutivo: evidenze da tre distretti veneti” – a cura di centro studi Unioncamere del Veneto e dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell’Università di Padova – non è confortante. Il rapporto illustra le trasformazioni avvenute su tre dei maggiori distretti veneti: il calzaturiero della Riviera del Brenta, l’occhialeria di Belluno e l’orafo di Vicenza. Con tre scenari ben diversi: il declino per l’orafo vicentino; la gerarchizzazione per l’occhialeria di Belluno; la riproduzione evolutiva per il calzaturiero della Riviera del Brenta. Nel dettaglio, il distretto della Riviera del Brenta è l’unico che ha subito solo una leggera contrazione tra 2002 e 2011 (-5,2%) mentre occhialeria e oreficeria soffrono un pesante ridimensionamento, perdendo quasi la metà delle imprese in attività (-47,3% e -42,4%). Se però nel distretto orafo si è ridotto di molto anche il numero di addetti, nel distretto dell’occhiale la riduzione è stata meno accentuata: le grandi aziende del territorio hanno assorbito, almeno in parte, il capitale umano fuoriuscito dalle aziende distrettuali non più in grado di stare sul mercato. In generale le ondate di precarietà hanno lasciato sul terreno e nel Dna dell’imprenditoria veneta un monte di interrogativi. La questione – esattamente quello che l’immagine scattata da Marina Caneve e Gabriele Rossi va a indagare – è arrivata a un bivio. Per i distretti del Veneto e maggiormente per Treviso si tratta di ritrovare la linea di demarcazione tra il proprio territorio e la propria manifattura. Si tratta di capire come mantenere elevata ( anzi al top) la capacità di fattura artigianale e al tempo stesso creare nuove e grandi economie di scala. Questa è la sfida.
Alexandra Wolframm, Ritorno 1, 2013 – Ritorno 2, 2013, Stampa fotografica digitale [Investigazioni private. Workshop di Francesco Jodice, a cura di Carlo Sala]
L’autrice con il suo lavoro mette a confronto delle immagini collinari dominate da una grande bellezza lirica con dei luoghi della filiera produttiva e commerciale, creando un cortocircuito percettivo che ci fa riflettere su come questi abbiano mutato (e talvolta deturpato) un paesaggio prima incontaminato. Alexandra Wolframm però non vuole muovere una banale critica, anzi, il suo punto di vista è molto diverso: perché dietro a quei luoghi quando dismessi si nasconde un’ emorragia di posti di lavoro, lasciandoci il dubbio di quale sia il male minore, aldilà della retorica.
La crisi ha fatto emergere sempre più spesso una ulteriore dicotomia sociale. Da un lato l’ambiente dall’altro il lavoro. È vero, nessuno vorrebbe né dovrebbe trovarsi a decidere tra una alternativa e l’altra. Eppure accede sempre più spesso. I luoghi abbandonati emergono come cattedrali di un deserto di povertà lavorativa e non possono essere recuperati perché mancano gli investimenti legati a nuovo lavoro. Il circolo però non è vizioso ma virtuoso. Purché si risponda a una domanda tanto semplice quanto pervasiva: è vero, come qualcuno ha sostenuto, che il modello Nordest è finito? «A mio avviso no», risponde Mario Pozza, presidente della Confartigianato Marca Trevigiana, «è ancora potenzialmente competitivo. Nonostante il peso della burocrazia, del Fisco e delle sconnesse politiche regionali sta cercando di trasformarsi. Nessuno vuole stare a guardare con le mani in mano. Stiamo cercando nuove strade. Basti pensare a quello che volgiamo mettere in piedi per fare in modo che i terzisti abbandonati da Benetton possano non solo continuare a lavorare, ma anche essere competitivi». L’Hangar la Fornace di Asolo è una delle risposte possibili: i vecchi mattoni usati per nuovi laboratori.
Claudio Beorchia, Aurea industriale, 2013, Collage (con coperta termica d’emergenza) su stampa fotografica digitale [Investigazioni private. Workshop di Francesco Jodice, a cura di Carlo Sala]
Claudio Beorchia ha fotografato alcuni stabilimenti industriali ricoprendone in seguito le sagome con brandelli di coperta termica d’emergenza attraverso la tecnica del collage. Il materiale utilizzato nell’intervento sulla fotografia non è casuale ed ha un forte valore simbolico: da un lato vuole mettere in luce le difficoltà e la necessità di protezione del sistema produttivo; ma dall’altro, grazie alla doratura del materiale ,vuole far leva sulla “preziosità” e su una certa fierezza del sistema stesso nell’affrontare il particolare momento storico ed economico.
Sergio Camplone, Breviario di una crisi, 2013, Stampa fotografica digitale [Investigazioni private. Workshop di Francesco Jodice, a cura di Carlo Sala]
Sergio Camplone, Breviario di una crisi, 2013, Stampa fotografica digitale [Investigazioni private. Workshop di Francesco Jodice, a cura di Carlo Sala]
Sergio Camplone, Breviario di una crisi, 2013, Stampa fotografica digitale [Investigazioni private. Workshop di Francesco Jodice, a cura di Carlo Sala]
Il progetto di Sergio Camplone trasferisce un lucido spaccato della realtà delle aziende visitate durante il workshop. Con le sue immagini ha saputo coglierne i tratti distintivi andando oltre i dati formali, facendo emergere per ognuna di esse un’identità composita fatta di capitale umano, saperi e materie. Ne risultano immagini dai toni lievi e di grande qualità estetica che rendono una visione protesa al futuro.
«L’occhio della macchina fotografica interroga gli eventi della crisi», spiega Roberto Masiero, ordinario di storia dell’architettura alla Iuav di Venezia, «e ha il pregio di separare quelli negativi da quelli positivi». L’obiettivo di Beorchia allo stesso modo disegna lingue d’oro per far emergere la poesia del manifatturiero italiano. E la preziosità della sua storia. Alla fine del XIX secolo gli interni dell’Orient Express – spiega il docente – erano arredati per mano di artigiani italiani. Ed erano il top dell’evoluzione tecnologica. In questo modo e non con l’industria pesante il nostro Paese riuscì ad agganciare la rivoluzione industriale. Ci sono strade dentro la crisi che indicano dunque nuovi percorsi. «Ogni giorno si combatte», sintetizza Prisca Colomban di Favole srl (abiti da sposa), «e si comprende che anche in settori diversi le problematiche sono le stesse. Alle quali rispondere spingendo il piede sull’acceleratore della qualità e del portafoglio d’offerta». Gli abiti da sposa artigianali si sono di fatto splittati su due fronti. Da un lato per il mercato italiano ci sono minori costi per rispondere a budget tagliati, dall’altro preziosità e unicità per l’estero. «Siamo sbarcati in Qatar», conclude Colomban, «perché abbiamo saputo cogliere i sogni e le aspettative delle loro spose. Questo è stato il segreto». Anche Angelo Fantin (immortalato mentre attraversa il capannone su una sedia a rotelle dopo una frattura) ha saputo superare la guerra in Libia. L’azienda di cui è titolare era fortemente esposta con commesse a Tripoli. La caduta di Gheddafi ha sconvolto il fatturato. Ed è servito più di un anno per partire con nuove commesse in Russia e a Parigi. Nel primo caso una grande dacia. Nel secondo un grosso lavoro per una maison di moda. «Il segreto oltre alla capacità di sviluppare prodotti su misura è stata l’assistenza post vendita», chiude Fantin. Entrambe le aziende hanno seguito un comun denominatore fatto di versatilità: trovare qualcuno disposto a spendere perché altri realizzassero sogni, desideri e anche capricci.
Francesca De Pieri, Memory box _ Falegnameria Fantin 3, 2013, doppia stampa a colori [Investigazioni private. Workshop di Francesco Jodice, a cura di Carlo Sala]
La fotografa utilizza una particolare tecnica che chiama “Memory box”, delle scatole in cui sono inserite delle doppie stampe fotografiche che simulano l’immagine 3D: in tal modo sono accentuate le forme dei legni e dei macchianti utilizzati nel processo produttivo della Falegnameria Fantin, che sembrano così muoversi evocando un senso di vitalità. Queste immagini sono contrapposte ad altre di archeologia industriale che mostrano alcuni capannoni di Marghera in disuso e richiamano la storia di aziende dal destino ben differente.
Se le singole aziende devono trovare sogni a cui dare risposta e devono farlo ad altissimo valore aggiunto, ma se allarghiamo lo zoom vediamo che l’insieme delle Pmi si trova oggi ad affrontare un quesito ampio. Come superare il conflitto tra artigianato e industria? Come evitare che gli artigiani italiani per affrontare i mercati esteri debbano sempre usare intermediari o filtri. E come dare agli artigiani strumenti di formazione adeguati? La chiave di volta sarebbe sicuramente un nuovo modo di fare scuola e fare formazione. Dice la sua Mario Pozza, presidente di Confartigianato Treviso. «Il conflitto è innanzitutto di natura politica. Negli ultimi 20 anni i governi hanno promosso solo un certo tipo di formazione e hanno permesso che la grande azienda utilizzasse il brand artigiano per conquistare mercati esteri. Quando in realtà la lavorazione artigiana è qualcosa di molto diverso», aggiunge Pozza, «e solo quando i nostri artigiani avranno la possibilità di portare a termine una formazione a 360 gradi riusciranno a produrre poesia con le mani, a gestire la tecnologia e ad andare da soli all’estero a vendere i propri prodotti». Non a caso le leggi sull’etichettatura non sono mai riuscita a imporre la totale tracciabilità della filiera. Mentre questo sarebbe un grande beneficio per il vero e piccolo manifatturiero.
Bojan Mrdenovic, Senza titolo, 2013, Stampa fotografica digitale[Investigazioni private. Workshop di Francesco Jodice, a cura di Carlo Sala]
Bojan Mrdenovic, Senza titolo, 2013, Stampa fotografica digitale[Investigazioni private. Workshop di Francesco Jodice, a cura di Carlo Sala]
Il fotografo croato Bojan Mrdenovic durante l’esplorazione delle aziende del territorio ha concentrato il suo occhio sulla perizia e cura nello scegliere e trattare i materiali che hanno le imprese artigiane . Le trame del legno e dei tessuti grezzi svelano alla vista, al tatto una bellezza misteriosa e sono un rimando metaforico alla laboriosità della manifattura di qualità che caratterizza queste terre.
Nel pomeriggio intenso di discussione probabilmente gli interrogativi sono stati più delle risposte. In sala però si sono affacciati piccoli artigiani con storie incredibili. Con mega commesse alle spalle. Un fabbro ha avviato un lavoro da 2 milioni di euro per la cancellata di un emiro. Un sarto fa spesso la spola da Treviso all’aeroporto di Venezia. Incontra i clienti che sbarcano apposta per farsi prendere le misure e ripartono. Per ogni abito pagano almeno 6mila euro. Andrea Granelli, presidente di Kanso, ha provato a spiegare come l’artigiano che adotterà strumenti fino ad ora usati dall’industria inserirà la quarta marcia. Perché correrà, ma sempre restando al fianco del proprio cliente.