I venti di guerra tra Russia e Ucraina si abbattono sui mercati finanziari. E lo fanno in un modo abbastanza prevedibile. La giornata è iniziata con il rublo, la divisa russa, che ha toccato i minimi storici contro il dollaro statunitense e con la banca centrale russa che ha innalzato di 150 punti base il principale tasso d’interesse, portandolo a quota 7 per cento. Non solo. La Bank Rossii è intervenuta sul mercato valutario, vendendo circa 10 miliardi di dollari per apprezzare il rublo. Una mossa inattesa, che testimonia quanto lo stress tra Stati Uniti e Russia sia elevata.
Dalla guerra di fatto alla guerra finanziaria, il passo è breve. Anzi, per parafrasare Nathan Mayer Rothschild, la seconda è spesso preludio della prima. È forse anche per questo che la tensione degli operatori finanziari è stata elevata per tutto il giorno, trainando al ribasso tutte le piazza borsistiche mondiali. Una delle più pesanti è stata quella italiana, con il FTSE Mib in contrazione di oltre 3 punti percentuali. Stesso discorso per Londra, Parigi, Francoforte e Wall Street, con il Dow Jones in rosso di 200 punti poco dopo l’apertura. Poco prima, era stato il principale indice russo, il Micex, a crollare: meno 10,79% in una seduta. Troppe le tensioni tra Russia e Ucraina. Spaventano le dichiarazioni belligeranti della prima, intimoriscono le risposte, altrettanto guerreggianti, della seconda. La prova di forza di Mosca non è stata apprezzata dai mercati, che dopo aver visto quanto fossero serie le minacce russe, hanno deciso di far partire un sell-off intorno agli asset del Paese.
Sul mercato valutario, le tensioni più significative. Dopo la mossa odierna, la Bank Rossii ha deciso di agire in modo inconsueto. «Le decisioni di politica monetaria di Mosca saranno prese su base giornaliera», ha comunicato la banca centrale russa in un comunicato. Traduzione: è lecito attendersi altre operazioni di mercato aperto nel caso il rublo si indebolisca contro il dollaro americano. E più risuonano le minacce del Segretario di Stato Usa, John Kerry, che ha spiegato come Washington sia pronta a «introdurre sanzioni contro Mosca» e a «isolare economicamente la Russia», più la nazione guidata da Vladimir Putin è pronta a combattere, anche sotto il profilo finanziario.
Se dal punto di vista diplomatico l’escalation tra Mosca e Kiev ha già raggiunto livelli inaccettabili, da quello finanziario tutto l’affaire è in divenire. La pressione intorno alla Russia si è osservata, oltre che sul mercato azionario e su quello valutario, anche su quello obbligazionario. Il tasso di rendimento dei bond russi con scadenza a dieci anni è salito oltre quota 6% e, secondo un’analisi di Danske Bank, è possibile che salgano rapidamente oltre l’8% se Mosca passasse delle parole ai fatti. Allo stesso modo, il rendimento dei bond ucraini a dieci anni è salito oltre il 10 per cento.
Sebbene la pressione sia significativa, il consensus delle banche d’investimento globali non vede grosse ripercussioni della crisi ucraina sull’economia globale. Société Générale ricorda che il Pil dell’Ucraina vale lo 0,2% del Pil mondiale e che, anche in caso di default, l’impatto sarebbe limitato a poche istituzioni bancarie. I più esposti sono gli istituti bancari russi, con asset a rischio per circa 1,3 miliardi di dollari, secondo i dati della Banca dei regolamenti internazionali (Bank of international settlements, o Bis). Sono quattro le banche più esposte: Gazprombank, Vneshekonombank, Sberbank, Bank VTB. Poi, ci sono alcune europee, come BNP Paribas, Piraeus Bank, Raiffeisen Bank International e UniCredit. Ma come ha ricordato anche la banca nipponica Nomura in una conference call sul tema, «non ci sono esposizioni rilevanti». Nonostante ciò, UniCredit ha temporaneamente limitato il prelievo dei contanti nei bancomat ucraini, per evitare corse agli sportelli. Proprio come Privatbank, la prima banca ucraina. Uno scenario simile a quello visto a Cipro un anno fa. Anche in questo caso, però, gli operatori sono tranquilli. «La situazione è sotto controllo, almeno dal punto di vista finanziario, e non ci attendiamo grosse ripercussioni sul nostro business», afferma via email a Linkiesta un senior trader di BNP Paribas.
La vicenda sarebbe ben diversa, di contro, se la Russia decidesse di agire militarmente per proteggere i propri interessi in Crimea. «Sarebbe la più grande minaccia globale dai tempi della Guerra Fredda», ha scritto il think tank Brookings nel weekend appena trascorso. Nessuno vuole che si passi dalla guerra valutaria, già in corso, alla guerra vera. I prossimi giorni, compreso il vertice europeo che si terrà il prossimo giovedì, saranno cruciali per capire fino a che punto c’è spazio per la mediazione.