Tocca alla Fed aggiustare gli squilibri che ha creato

La politica monetaria degli Stati Uniti

Cambiare o non cambiare la forward guidance. Questo è il principale problema del Federal open market committee (Fomc), il braccio operativo della Federal Reserve, impegnato nellassottigliamento del Quantitative easing in terza versione (Qe3). Le indicazioni prospettiche sono tutto ciò che hanno attualmente i mercati finanziari per comprendere le intenzioni della banca centrale americana. Dopo aver erogato liquidità in modo quasi ininterrotto dal 2008 a oggi, unazione che ha sostenuto leconomia globale nel suo periodo più nero dal 1929, la Fed ha di fronte a sé la sfida più grande: bilanciare lexit strategy ed evitare che le bolle nate a seguito del Qe3 non deflagrino. 

Le attese sono per una nuova riduzione degli acquisti mensili di Treasury e Mortgage-backed security (Mbs), cioè titoli coperti da mutui. Il consensus delle banche dinvestimento vede un calo di 10 miliardi di dollari. Si arriverebbe così fino a quota 55 miliardi di dollari, 30 miliardi in meno rispetto al programma Qe3. Secondo la banca nipponica Nomura, la chairwoman della Fed, Janet Yellen, potrebbe mutare le sue indicazioni prospettiche. Potrebbe infatti cambiare il modo nel quale comunica agli investitori le sue intenzioni. Invece che avere lobiettivo di raggiungere un tasso di disoccupazione del 6,5%, potrebbe guardare ad altri indicatori, come lattività manifatturiera o un particolare livello di inflazione. Non varrebbe più quindi la “Evans Rule”, ovvero la decisione della Fed di mantenere lattuale livello dei tassi dinteresse fino alla concretizzazione di due eventi: disoccupazione al 6,5%, come visto, e tasso dinflazione al 2,5 per cento. Del resto, lattuale livello di disoccupazione, 6,7%, è molto vicino alla soglia posta dalla “Evans Rule”. «È facile che venga modificata la forward guidance, perché il livello occupazionale è migliorato sensibilmente negli ultimi mesi, nonostante gli effetti negativi legato al maltempo che ha colpito gli USA», ha scritto due giorni fa Bank of America-Merrill Lynch. L’importante, sottolineano BofA-ML e Nomura, è che siano date informazioni chiare e definite. 

Il mutamento della forward guidance da parte della Federal Reserve potrebbe essere il punto di inizio per il ritorno della politica monetaria alla normalità. Il problema, tuttavia, è la definizione di normalità. Dopo oltre 6 anni di non convenzionalità, dovuta prima alla crisi subprime, poi al crac Lehman Brothers e infine alle tensioni intorno alleurozona, è lecito pensare che i tassi dinteresse delle maggiori banche centrali globali si alzeranno. Su questo versante ci sono due diversi problemi. Il primo legato alla semplice politica monetaria. Un incremento dei tassi provocherà, negli Stati Uniti come nel resto del mondo, una riduzione della liquidità esistente. E considerando che questo canale è stato quasi illimitato per più di sei anni, ci dovrà essere un ribilanciamento delle scelte di portafoglio da parte degli operatori finanziari. Come agire nel nuovo regime? A oggi non ci sono ancora delle concrete analisi sulla gestione dellexit strategy da parte delle istituzioni finanziarie. Il secondo problema è legato al Qe3 e alleffetto distorsivo sui titoli di Stato statunitensi. Con luso della Zero interest rate policy (Zirp), la Fed ha drogato i mercati, contribuendo a mantenere basso il livello di rendimento dei Treasury. È perciò normale attendersi un aumento del tasso dinteresse dei bond governativi americani, e non solo. Nello scorso autunno, il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha calcolato nel suo Global financial stability report (Gfsr) che limpatto del tapering del Qe3 potrà essere di 2.300 miliardi di dollari. Una volta che sarà completato lassottigliamento, il rendimento medio dei bond governativi a livello globale si innalzerà di circa un punto percentuale. Questo fenomeno provocherà perdite sui portafogli obbligazionari del 5,6%, ovvero 2.300 miliardi di dollari. Bilanciare le conseguenze del tapering del Qe3 sui mercati globali e luscita dalle misure non convenzionali di politica monetaria rischia quindi di creare un corto circuito in diverse piazze finanziarie, specie se queste già presentano evidenti squilibri di liquidità o una forte dipendenza dalle decisioni della Fed. 

Come se non bastasse, molti osservatori finanziari stanno mettendo in guardia gli operatori sulleccessivo aumento dei bilanci delle istituzioni monetarie. Basti pensare che il bilancio della Federal Reserve è passato dai 869 miliardi di dollari del 9 agosto 2007, inizio ufficiale della crisi subprime, ai 4.181 miliardi del 12 marzo scorso. E probabilmente arriverà a quota 4.500 miliardi entro la fine dellanno, quando sarà chiuso il Qe3. Come però scrive Lord Adair Turner, ex numero uno della Financial Services Authority (FSA), il problema non riguarda la grandezza del bilancio. Se larea economica di azione della Fed, per esempio, viaggia a un ritmo di crescita tale da garantire un basso livello di disoccupazione e uninflazione ragionevole ed è unespansione economica sostenibile nel lungo periodo, perché preoccuparsi? Piuttosto, è una questione di gestione delle criticità sistemiche, già esistenti o sul punto di nascere. Ed è qui che si entra nella fase più difficile. 

Non si deve sottovalutare la possibilità di aver creato delle bolle. Tramite limmissione di liquidità, praticamente senza freni, da parte delle principali banche centrali mondiali, è evidente il rischio di aver creato distorsioni di prezzi abbastanza significative in un regime finanziario come quello odierno, ancora instabile e vulnerabile agli shock di qualunque natura. È infatti per questo che il dibattito accademico, così come quello bancario, sta vertendo sempre più sulla tempistica dellexit strategy. In un paper del National bureau of economic research, ripreso anche da Pedro da Costa sul Wall Street Journal, a cura di Anton Korinek (Johns Hopkins University) e Alp Simsek (MIT), si spiega che è molto pericoloso alzare i tassi dinteresse per ridurre lampiezza delle bolle nate negli ultimi anni. Tutto il contrario di quanto invece stanno pensando i funzionari della Federal Reserve. Il concetto di Korinek e Simsek è chiaro. I mercati finanziari hanno stabilizzato il loro timone sullassunzione che la Zero interest rate policy sarebbe durata, almeno, fino al 2016. E di conseguenza hanno deciso di allocare le proprie risorse su certe classi di asset, come lequity statunitense, con la convinzione che non ci sarebbero stati cambiamenti alla politica monetaria americana per un prolungato periodo temporale. Immaginando che i mercati siano come i polmoni, questi sono stati irrorati repentinamente da una enorme quantità di aria, cioè la liquidità della Fed e delle altre banche centrali. Ma i polmoni si sono espansi troppo, spingendo contro la gabbia toracica. È questo il punto in cui si è formata la bolla. Un innalzamento erroneo dei tassi dinteresse, quindi una politica monetaria contrattiva con tempistica sbagliata, potrebbe risultare con un proiettile che trapassa uno dei polmoni alla massima espansione. Il collasso sarebbe inevitabile e comprometterebbe lintero sistema. La via di Korinek e Simsek è quindi quella di iniziare dalla parte opposta. Non deve essere la Fed ad agire sui tassi, ma luniverso finanziario a ridurre il proprio leverage. Per fare ciò, occorre che la Federal Reserve potenzi la vigilanza macroprudenziale. In altre parole, guardare dentro Wall Street (ma anche altrove, data linterconnessione tra i mercati) e capire dove ci sono i bubboni pronti a esplodere. Un compito non semplice ma che, nel pensiero dei due economisti, è lunico modo per evitare ulteriori squilibri dentro un sistema già fragile di suo. Può essere la Fed il fulcro di tali azioni a livello macroprudenziale? Il tempo, ma anche la forward guidance che deciderà di adottare la Yellen, darà la risposta. 

Tornando alla mera politica monetaria della Fed, è chiaro che la banca centrale americana non potrà innalzare i tassi senza unadeguata comunicazione. Per fare questo, tuttavia, la Yellen ha bisogno di più tempo a disposizione per controllare i dati macroeconomici a disposizione. I rischi sono numerosi e gli operatori cominciano a domandarsi fino a che punto vuole spingersi in là con la politica monetaria espansiva senza fornire idee sul prossimo innalzamento dei tassi. È per ciò che BofA-ML e Goldman Sachs si attendono un cambiamento verso indicazioni prospettiche qualitative, piuttosto che quantitative. La maggior parte dei partecipanti al Fomc vede il primo rialzo dei tassi nel 2015. Nella riunione che termina oggi, la Yellen ha loccasione per migliorare la strategia di uscita dalla maxi liquidità proprio definendo chiaramente quando intende deviare dalla Zero interest rate policy attuale. Non farlo significherebbe amplificare tutti i rischi che già oggi la Fed sta facendo correre a se stessa e alleconomia globale. 

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