Venezuela, la politica post-chavista in disfacimento

Crollano Pil e prezzo del petrolio

«A Caracas si vive in pace». Il presidente del Venezuela Nicolás Maduro lo ha affermato da Palazzo Miraflores nel corso del programma radiofonico appena inaugurato «En contacto con Maduro». Il governo frenerà le manifestazioni che in queste ore inondano le strade del suo Paese. Tanto più che non si tratta di proteste, ma di tentativi «di attaccare i lavoratori. È vandalismo, è terrorismo, e in quanto tale verrà trattato», ha accusato Maduro. L’unica cosa utile per uscire dalla crisi che il Venezuela vive dallo scorso 12 febbraio è, sostiene il Presidente, che l’opposizione «fermi le barricate e si sieda a un tavolo» per negoziare. Il punto sarebbe capire però su cosa.
 

“A Caracas latte, farina, zucchero e carta igienica sono diventati un lusso”

Almeno 28 morti, centinaia di feriti e oltre mille arresti non sembrano scalfire il potere dell’erede di Hugo Chávez. Tuttavia gli studenti continuano a scendere in piazza contro Maduro e lo considerano il responsabile della recrudescenza dei fenomeni criminali (25 mila persone sono morte ammazzate nel 2012, per l’Osservatorio venezuelano sulla violenza), dell’alta inflazione (secondo la Banca centrale del Paese a quota 53,6 per cento) e delle carenze di prodotti e alimenti che affliggono il più grande esportatore di greggio del Sud America. Per intenderci a Caracas latte, farina, zucchero e carta igienica sono diventati un lusso. Perfino ai gruppi editoriali manca la carta per stampare le loro edizioni quotidiane.

Il Venezuela soffre una delle peggiori crisi economiche della sua storia. E la situazione è di la dal risolversi. Per citare alcuni dati: le ultime stime del Cepal (Comisión económica para América Latina y el Caribe) dicono che il tasso del Pil per abitante è crollato di un 0,3 per cento nel 2013 – rispetto a una crescita del 4 nel 2012 -, il più basso della macroregione. Senza contare il fattore petrolio: il 98 per cento delle entrate da export sono petrolifere, ma la produzione è calata da 3,3 milioni di barili al giorno nel 1999 a 2,7 milioni nel 2014. Di questi poi quasi 1 milione non produce valuta perché viene esportata in Cina, a Cuba e nei Paesi dei Caraibi in cambio di beni e servizi.

Mentre il bolívar subiva iper svalutazioni annuali, il prezzo a barile è crollato da 117 euro nel 2008 a 71 nel 2013 – una riduzione del 38 per cento – e il debito interno è cresciuto nel 2013 fino a 44 milioni di euro, aumentato di conseguenza il passivo dell’azienda petrolifera statale (PDVSA). Il punto chiave è la carenza di investimenti privati, proprio quando la Pdvsa si è convertita in succursale del partito di governo. La gestione delle finanze pubbliche è poco trasparente e il Fondo monetario non esamina l’economia del Venezuela da ormai dieci anni. A farla breve per Standard & Poor’s il Paese rischia il default, tra questo e il prossimo anno.
 

“ll Venezuela vive una delle peggiori crisi economiche della sua storia. Il prezzo a barile è crollato da 117 euro nel 2008 a 71 nel 2013”
 

Insomma, forse a Caracas non si vive poi così in pace. Segnalato al 160 posto su 177 Paesi nell’indice di corruzione percepita di Trasparency Internacional, in piena crisi economica sui quattro fronti più importanti (fiscale, monetario, del cambio e petrolifero), e con una politica post-chavista in disfacimento, a Miraflores si cerca qualcuno su cui scaricare la responsabilità.

Coinvolgere il presidente americano Barack Obama sarebbe come fare un terno al lotto. Maduro ha più volte accusato l’ingerenza degli Yankee fino a rispedire a Washington tre suoi diplomatici. Poi ha nominato un nuovo ambasciatore negli Stati Uniti, come a dire che a Caracas la disputa non è tra il governo dispotico e l’opposizione violenta, ma tra il Paese e i potenti vicini del Nord.

Da quel versante, l’America gioca a nascondino: il segretario di Stato, John Kerry, proprio poche ore fa ha parlato di «sanzioni disciplinari». Ma poi ha lasciato intendere che a occuparsene sarà l’Organizzazione degli Stati americani (Oea), visti, nonostante tutto, i convenienti rapporti economici, a suon di petrodollari, tra i due Paesi «nemici».
Ma il declino del governo Maduro potrebbe segnare una svolta, anche nel panorama sudamericano: l’Argentina di Cristina Kirchner arranca mentre il governo ecuadoriano di Rafael Correa ha appena ricevuto una batosta alle elezioni locali.
 

“Alcune compagnie potrebbero sospendere i voli sul Venezuela: il governo deve loro 3,7 milioni di dollari”
 

Gli altri Paesi cercano di mettere una toppa alla stretta di Caracas, che ha chiuso quasi tutti i rubinetti dorati. A Maduro resta cara L’Avana, mentre, in questi giorni, potrebbero arrivare in soccorso investimenti da Oriente, Cina e Russia, nella speranza almeno che i collegamenti funzionino ancora.

Mercoledì l’Associazione internazionale del trasporto aereo ha fatto sapere che alcune compagnie potrebbero sospendere i voli sui cieli venezuelani: il governo deve loro 3,7 milioni di dollari.
A Caracas intanto si protesta e si muore, ancora.

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