Piccole, inutili, fastidiose. Persino costose. E adesso l’Italia potrebbe rinunciare alle monete da uno e due centesimi di euro. Il Parlamento valuterà la richiesta questa settimana, quando alla Camera sarà discussa e votata un’apposita mozione. Per tanti italiani alle prese con i minuscoli spicci color rame potrebbe essere una liberazione. Sull’inutilità dei centesimi di euro l’opinione pubblica è concorde. La maggior parte dei distributori automatici neppure li accetta, riceverli come resto alla cassa del supermercato è quasi una scocciatura.
Ora si scopre che i centesimi di euro sono anche costosi. Lo scrive Sergio Boccadutri, deputato di Sel ed esponente della commissione Bilancio di Montecitorio, in un documento presentato lo scorso ottobre e inserito in questi giorni nel calendario della Camera. «Parrebbe che i costi di fabbricazione di ciascuna moneta da un centesimo – si legge – ammonterebbero a 4,5 centesimi. Quelli di ciascuna moneta da due centesimi a 5,2 cent». Un paradosso, più che sufficiente a chiedere la sospensione del conio.
La battaglia è condivisa. Sulla barricata anti-spicci Boccadutri è in buona compagnia. La sua mozione è stata firmata da colleghi di Partito democratico, Movimento Cinque Stelle e Scelta Civica. A spulciare i nomi di chi lo scorso autunno ha apposto la firma al testo c’è anche Maria Elena Boschi, oggi ministro delle Riforme. Tutti uniti per cancellare le odiose monetine. Tanto fastidiose nelle tasche dei pantaloni, quanto numerose. A mettere insieme tutti i centesimi di euro che girano in Italia, ci si troverebbe davanti a una montagna. Da quando il nostro Paese ha archiviato le vecchie lire, «la Zecca avrebbe fuso oltre 2,8 miliardi di monete da un centesimo, 2,3 miliardi di monete da 2 cent e circa 2 miliardi di moneta da 5 cent». Un mare di inutili e tintinnanti monetine.
Una vicenda curiosa, ma anche uno spreco. A fronte di un valore reale di 174 milioni di euro, l’Italia avrebbe sostenuto «un costo complessivo di 362 milioni di euro». La colpa ovviamente non è nostra. A decidere quante monete può coniare ogni Stato è la Banca centrale europea. A ciascun membro spetta semmai il compito di provvedere alla produzione materiale. «Oggi – ha chiarito Boccadutri – quasi una moneta su due di quelle messe in circolazione è da 1 o 2 centesimi, e solo nel 2013 sono costate alle casse dello Stato ben 21 milioni di euro». Da qui la proposta bipartisan: dire per sempre addio alle monete più piccole. «Negli ultimi anni – si legge nella mozione – il governo e il Parlamento hanno tentato di limitare lo spreco di risorse pubbliche, tagliando, attraverso le cosiddetta spending review quei costi cui nel complesso è possibile rinunciare. L’utilità delle monete da 1, 2 e 5 centesimi è molto limitata e assolutamente rinunciabile se paragonata ai risparmi che ne deriverebbe allo Stato».
I rischi? Pochi, almeno a sentire i firmatari dell’iniziativa. Del resto altri Paesi hanno già deciso di chiudere in qualche cassetto i loro centesimi di euro. È il caso di Finlandia e Olanda. Adesso potrebbe toccare a noi. Entro questa settimana il Parlamento chiederà ufficialmente al governo di sospendere, o meno, il conio delle monete da 1 e 2 centesimi. Ma anche di ragionare su quelle di valore più grande, «valutando l’impatto sull’inflazione – così spiega il documento depositato alla Camera – dell’eventuale sospensione del conio di quelle da 5 centesimi».