Botte da orbi tra i vertici dell’Europa

Botte da orbi tra i vertici dell’Europa

Il Parlamento Europeo? Conta fino a un certo punto, in realtà le decisioni sul futuro presidente della Commissione europea le prendono i leader Ue. Forse non voleva metterla giù dura così, ma certo è che le ultime dichiarazioni del presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy hanno suscitato virulenti polemiche, soprattutto con i due principali “candidati” alla poltrona al momento di José Manuel Barroso: il popolare Jean-Claude Juncker e il socialista Martin Schulz, “nominati” dalle rispettive famiglie europee. Un altro segno che la campagna elettorale per le europee – almeno a livello Ue – è diversa dal solito. 

Al centro è il dettato del trattato di Lisbona che impone di “tenere conto” dei risultati delle europee nella scelta del nuovo presidente della Commissione. Una scelta, come ha scritto anche Linkiesta, che ha portato all’assoluta novità della nomination dei candidati alla carica di presidente – quella di Juncker con l’imprimatur potente anche della cancelliera Angela Merkel. La campagna elettorale è intensa, ma proprio mentre l’ex premier lussemburghese girovaga per l’Europa a bordo del suo bus «Juncker for President» e Schulz fa a sua volta il giro delle capitali, piombano le parole di Van Rompuy, intervistato dalla Süddeutsche Zeitung (ebbene sì, in Germania la campagna elettorale a livello Ue e non puramente nazionale fa notizia, altro che da noi). «La differenza tra il Parlamento e quelli che decidono davvero è molto chiara ai cittadini –  avverte il fiammingo – eppure ora i grandi partiti presentano candidati di punta, il vincitore pretende di essere presidente della Commissione. Non sono affatto entusiasta di questa idea».

Della serie: il Parlamento sarà pure importante, ma tanto a decidere sono sempre i leader Ue, almeno sulle nomine ai vertici dell’Unione. Eppure il trattato di Lisbona – che sarà applicato per la prima volta dopo queste elezioni (visto che quando iniziò l’attuale legislatura in chiusura, non era ancora in vigore) – oltre al famoso “tener conto” prevede anche che il nuovo presidente della Commissione debba ottenere la maggioranza dell’aula europarlamentare – una sorta di fiducia

È in realtà noto da tempo che Van Rompuy – ottimo mediatore tra leader purché protetto dalle porte chiuse e al riparo dei riflettori – fosse contrario all’idea di “candidati” parlamentari alla presidenza della Commissione. Già nel novembre 2012 nel corso di una conferenza metteva in guarda che, così impostate, le elezioni europee avrebbero «organizzato la delusione in anticipo», spiegando che una “nomination” di questo tipo ha senso solo se «andrà di pari passo con ampi poteri della Commissione, altrimenti scordatevelo».

L’ultima bordata di Van Rompuy naturalmente ha mandato su tutte le furie molti, a cominciare ovviamente da Juncker e Schulz, che invece puntano proprio sulle elezioni per prendere il posto di Barroso. «I vecchi tempi in cui un presidente di Commissione veniva eletto da diplomatici dietro le quinte sono finalmente passati», ha tuonato Juncker sempre alla Süddeutsche. «Proprio come nelle elezioni politiche – ha aggiunto – si tratta per gli elettori di mandare al Parlamento europeo eurodeputati che potranno decidere chi sarà il presidente dell’esecutivo Ue. Né il presidente (di uno Stato, n.d.r.) né il Consiglio Europeo possono ignorare le maggioranze parlamentari». «Van Rompuy – ha ringhiato dal canto suo Schulz – esprime solo il suo parere personale, basata sulla sua interpretazione che si adatta alla sua concezione del proprio ruolo. Molti nel Consiglio Europeo vedono la questione diversamente, e soprattutto la vedono diversamente molti elettori europei». «È un vero peccato – ha commentato anche il liberale tedesco Alexander Lambsdorff – che il Consiglio Europeo freni progressi democratici», mentre una dei due candidati di punta dei verdi, Ska Keller (anche lei tedesca) ha parlato di «pessimo servizio alla democrazia». 

In realtà Van Rompuy ha toccato un punto centrale della questione: non sono pochi i leader, a cominciare dal britannico David Cameron, restii a vedere un collegamento diretto tra elezioni europee e nomine Ue. E il trattato non prevede un automatismo diretto. E forse molti nel Parlamento Europeo forzano un po’ la mano nel vedere, come ha fatto Juncker, uno stretto parallelismo tra elezioni europee ed elezioni nazionali. Van Rompuy, certo un po’ troppo restio alla trasparenza e un po’ troppo amante delle porte chiuse, ha però evidenziato un punto reale: la Commissione europea non è (almeno per ora) un “governo europeo”, come il suo presidente non è (ancora) equiparabile al premier di un Paese democraticamente eletto. Di qui il suo monito a evitare delusioni.

Rimane però che se davvero una persona indicata dai partiti europei – grazie al voto degli elettori – diventasse presidente della Commissione sarebbe un segnale fortissimo di riavvicinamento dell’Europa ai cittadini. Anche se su un altro punto – con buona pace di Juncker e Schulz – Van Rompuy potrebbe non avere tutti i torti: le nomination dei partiti europei per la presidenza della Commissione, dice alla Süddeutsche, «non modificheranno l’atteggiamento degli elettori. L’esito elettorale dipende da molti altri fattori, da sensibilità nazionali, che niente hanno a che fare con l’Europa o i candidati di punta».

Sarebbe anzi interessante un sondaggio per sapere quanti elettori – almeno in Italia – sanno che ci sono delle “nomination” dei partiti europei alla presidenza della Commissione, e chi sono i nomi. Ma questa è un’altra storia. 

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