È successo en passant. Silenziosamente. Senza dichiarazioni ufficiali. La commedia, quella pura, quella (come vuole la tradizione) dal lieto fine scontato, quella che semplicemente — per dirla secondo il dizionario italiano — “muove il riso”, è morta. Kaput. Fine.
Lo dimostrano gli ascolti: le comedy nuove tentennano, raggiungono pochi milioni di telespettatori, hanno rating (ovvero percentuali di ascolti calcolate a seconda di fasce demografiche) ridicoli. Le uniche che sopravvivono (e lo fanno bene) sono quelle datate, come The Big Bang Theory o How I Met Your Mother. Loro sì che macinano numeri, ma la ragione va ben oltre la capacità di suscitare risate. Continuano a far sorridere (chi più e chi meno), ma lo fanno perché dopo molti anni, ci siamo affezionati ai personaggi. È dal 2008 che sogghigniamo per l’incapacità di Sheldon Cooper di accettare le convenzioni sociali: dopo 7 anni non possiamo fare a meno di trovarlo deliziosamente adorabile (perché abbiamo imparato a conoscerlo, capirlo e amarlo), ma gli spunti comici dello show sono rimasti esattamente uguali agli albori. E dalle nuove produzioni non arriva linfa vitale. Certo, Brooklyn Nine Nine ha vinto un Golden Globe, direte voi, ed è stata rinnovata per una seconda stagione. Eppure sebbene sia partita con un bacino di 6,17 milioni di telespettatori, la comedy che strizza l’occhio a Scuola di Polizia ha concluso la prima annata registrandone 2,59 (rating del 1.1). Insomma: si può dire tutto tranne che sia uno show che fa faville. Numeri che, confrontati con i drama (anche non eclatanti) fanno ridere: un procedurale ben fatto ma senza infamia e senza lode come The Blacklist registra oltre 10 milioni di spettatori a episodio (rating intorno al 2.7), Resurrection ne fa oltre 11 milioni (3.1). Il divario è reale.
A rendere difficile la vita delle comedy, ora, ci pensa anche un quel nuovo genere battezzato con il nome di dramedy, ovvero “drama + comedy”. Perché la nuova frontiera della risata è questa: il dramma ironico, la commedia dolce-amara, nel pieno rispetto di quel filone che crede che gli ossimori in TV siano di successo. E le dramedy, nemmeno velatamente, nel gioco delle poltrone televisive, stanno accaparrando tutti quei posti destinati ai mostri sacri della risata.
L’ultimo esempio in ordine di tempo è rappresentato da Shameless U.S. Sì, avete capito bene. Shameless: la serie che racconta le vicende di papà Frank Gallagher, ubriacone di prima categoria, che a forza di whisky si è consumato il fegato e ha abbandonato a se stessa la numerose prole. Quella che segue la storia di Fiona, la sorella maggiore “responsabile” che soffoca i momenti di crisi con party a base di cocaina. Quella dove i ragazzetti vanno a scuola con i coltelli nello zaino e le quattordicenni minacciano di morte la nuova ragazza del proprio ex (che poi, a 14 anni, hanno già un ex? Basta poco per far sentire la generazione degli figli anni Ottanta/Settanta vecchia, vecchissima).
Insomma, Shameless ora è una comedy, perché è in questa categoria che lo show ha deciso di partecipare ai prossimi Emmy. Ma non è l’unica: Orange is The New Black, la pluripremiata Girls, il nuovo show di HBO Looking sono tutte produzioni che non il concetto di comedy (da un punto di vista di format e di contenuto) non vanno proprio a braccetto ma che quando devono essere premiate (o sperano di esserlo) finiscono puntualmente per optare per questa categoria. Meritando, tra l’altro, le ambite statuette. Ridere non è mai stato così difficile. Dario Fo, uno che gli stilemi comici li ha saputi inserire in tutti i suoi lavori, potrebbe dirla così: questa è l’epoca della morte accidentale della commedia.