Fecondazione eterologa, il silenzio di Papa Francesco

Fecondazione eterologa, il silenzio di Papa Francesco

Nel giro di 24 ore in Italia sono cambiate molte cose in materia di diritti civili: dibattiti pluridecennali hanno subìto una brusca accelerazione per via di due diversi interventi della magistratura. È caduto il divieto per la fecondazione eterologa e si è aperta una breccia che sarà difficile richiudere sul matrimonio fra persone dello stesso sesso. Nel primo caso è stata la Corte Costituzionale a prendere una decisione che era in buona parte prevista (nei dieci anni dalla sua introduzione la legge già era stata modificata in più parti), nel secondo invece il tribunale di Grosseto ha “ordinato” al Comune di trascrivere nel registro di stato civile il matrimonio fra due omosessuali che si erano sposati in America. La decisione non ha carattere normativo, “non ha natura costitutiva”, e tuttavia ammette e riconosce un atto valido non in contrasto con la legge italiana e con la cornice europea.

La novità è rilevante e, ancora una volta, sono stati dei giudici a sciogliere matasse complicate e a rispondere alle esigenze di cittadini e famiglie che hanno seguito testardamente le vie legali per ottenere il riconoscimento di quello che considerano un diritto. A queste stesse domande la politica negli ultimi decenni non ha voluto o potuto mettere mano. Ma anche in questo caso, come in altri ambiti (la riforma elettorale per esempio), l’intervento del potere giudiziario dovrà essere completato da quello legislativo o dal governo; in caso contrario è possibile che nuovi giudizi interverranno a regolare ulteriormente le varie questioni. Va detto, inoltre che, in materia di nozze fra persone dello stesso sesso, anche in altri Paesi le acque sono state smosse dalla sentenza di qualche giudice.

Tuttavia il contesto italiano ha un protagonista in più in questa vicenda: la Chiesa associata alla presenza storica del Vaticano. Il modello di Chiesa del cardinale Ruini fortemente ideologico e identitario aveva fatto delle questioni bioetiche ed etiche il contenuto pressoché esclusivo della propria presenza pubblica (i famosi principi non negoziabili); questa impostazione è stata associata a una sostanziale alleanza sul piano legislativo e politico col centrodestra a guida berlusconiana, mentre a sinistra si oscillava fra tentativi goffi di compiacere la gerarchie ecclesiastiche e timide incursioni in materia di diritti. Sul periodo breve, il modello Ruini – sostenuto da Giovanni Paolo II e poi, nella prima parte del pontificato, da Benedetto XVI – ha avuto la meglio. È la famosa Chiesa “dei no”, della battaglia senza quartiere sul caso di Eluana Englaro, del rifiuto di celebrare i funerali di Piergiorgio Welby, dell’impegno profuso a piene mani per far fallire il referendum abrogativo della legge 40 attraverso l’astensione e quindi il mancato raggiungimento del quorum (ma non, attenzione, con una prevalenza dei “no”).

In buona sostanza è accaduto che ogni provvedimento relativo alla sfera dei diritti civili è stato bloccato in Parlamento mentre di volta in volta le sentenze tracciavano strade ardue sul testamento biologico (anche il caso Englaro fu risolto da un giudizio) o sulla fecondazione assistita.

Con l’avvento di papa Francesco e la messa in discussione enunciata per iscritto dei principi non negoziabili, il castello della resistenza ecclesiale è crollato: la Chiesa anticlericale del pontefice (è Bergoglio a criticare il clericalismo) si sgancia dal rapporto organico con una parte politica, si parla di misericordia, si afferma il primato della carità su quello della norma e si lascia intendere che, in qualche caso, la norma può essere aggiornata. È la fine di un’epoca che l’episcopato italiano e lo stesso cattolicesimo organizzato non riescono a digerire, il disorientamento è notevole.

Va anche ricordato che lo stesso Bergoglio, da leader della Chiesa argentina, fu indotto dalla parte più conservatrice del suo episcopato a una battaglia dura contro la legge sul matrimonio omosessuale che provocò tensioni con il governo e si rivelò un drammatico sbaglio. È noto, per altro, che il futuro papa, da arcivescovo, era favorevole al riconoscimento dei diritti delle coppie di fatto, cioè a una regolamentazione intermedia fra il nulla normativo e le nozze. E qui c’è però un punto dirimente della questione: l’intervento del tribunale di Grosseto (sotto il profilo giuridico assai poco discutibile) arriva anche perché la costante opposizione politico-ecclesiale a una legge sulle coppie di fatto ha radicalizzato infine le posizioni. Per la Chiesa, quella che si profila non è dunque una sconfitta da poco: non si tratta infatti di novità che irrompono per così dire “a freddo” sulla scena pubblica, ci sono anzi responsabilità politiche e strategiche anche fra vescovi, cardinali e associazioni che hanno favorito una contrapposizione frontale rivelatasi un errore.

Inoltre per il papa si tratta di temi importanti ma non prioritari, quanto meno non programmatici di un pontificato tutto rivolto alla condizione sociale-storica dell’uomo in una lettura evangelica e profetica dell’epoca che stiamo attraversando. La Cei ha quindi esitato prima di rispondere alle sentenze, poi ha lanciato nell’orbita mediatica due comunicati distinti: più determinato quello sulle nozze gay, più misurato quello sull’eterologa.

Il matrimonio è quello fra uomo e donna possibilmente con figli, hanno ripetuto i vescovi e «il tentativo di negare questa realtà per via giudiziaria rappresenta uno strappo, una pericolosa fuga in avanti di carattere fortemente ideologico». E tuttavia sarà difficile limitare ora, dopo la registrazione dello stato civile, l’estensione di tutti i diritti di cui godono le coppie eterosessuali ai coniugi dello stesso sesso. Nel secondo caso si sottolineano dubbi più problematici relativi al diritto dei figli di conoscere la propria origine biologica, cioè la propria identità (ed è questo un aspetto sul quale il dibattito giuridico sta andando avanti); si critica poi il diritto dei genitori ad avere un figlio («può essere solo un desiderio»), ma si paventa anche il rischio che in tal modo venga cambiato e snaturato «il concetto di paternità e di maternità» mentre la cultura giuridica non deve, nei suoi pronunciamenti, solo agevolare ogni pretesa «della tecnoscienza».

E qui scatta il vecchio riflesso ecclesiale di contrapposizione – perdente in genere – di fronte alla scienza e alla tecnica. Ogni nuova acquisizione non può essere, in tale visione, un’opportunità, non può rispondere a desideri e aiutare a definire diritti. Non c’è spazio insomma per un governo anche etico del cambiamento, prevale il rifiuto. Eppure alcuni anni fa, in relazione al caso Englaro, fu un’editorialista dell’Osservatore romano come Lucetta Scaraffia a scrivere sul giornale della Santa Sede, grosso modo, che la stessa Eluana era tenuta in vita grazie alla macchine, cioè grazie alla tecnica e non alla ‘natura’, il che doveva portare il mondo cattolico a elaborare meglio la propria visione etica e bioetica sulla materia complessa e delicata della tutela della vita.

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