È il grande dilemma che attanaglia l’Italia, da sempre. Parlare della mafia fa bene o non fa bene al Paese? Gli americani di questi problemi non se ne fanno e serie come Boardwalk Empire e I Soprano lo hanno dimostrato: certo, ce l’hanno anche loro la mafia. La realtà e la televisione hanno scavato a fondo in luoghi come Chicago e il New Jersey e di scheletri negli armadi o sotto i letti ne hanno trovati parecchi. Ma in fondo per loro è semplice: la mafia non fa parte del loro DNA, anche se situata in territorio americano non è nell’anima a stelle è strisce, è cosa nostra per dirla con il nome di una delle organizzazioni siciliane più famose.
La mafia (fatta eccezione per quella cinese, altrettanto potente e se vogliamo ancora più pericolosa) è in tutto il mondo riconosciuta come un fenomeno italiano. E nello Stivale, ogni volta che il tema viene affrontato in televisione, tutti drizzano le antenne. Dalla polemica, stavolta, non si è salvata nemmeno la serie Gomorra. Il trailer della nuova produzione Sky ispirata al romanzo di Roberto Saviano, che — salvo imprevisti — dovrebbe arrivare sugli schermi a partire dal 6 maggio, è stato accolto da fior fior di critiche dalle associazioni anti-camorra: due le accuse, apparentemente contraddittorie. La prima è che il trailer fa sembrare Scampia una terra di nessuno dove morti, sparatorie, inseguimenti e violenza sono all’ordine del giorno: «un obbrobio con scene inverosimili da film gangster», ha tuonato Ciro Corona della cooperativa Resistenza. Insomma, l’immagine di Napoli che ne risulta sarebbe tutto fuorché lusinghiera. E poi c’è l’altro aspetto, ovvero che la serie potrebbe (e lo farà, assicurano i detrattori a priori) mitizzare i camorristi: i ragazzi, soprattutto quelli della periferia partenopea, tendono a lasciarsi conquistare dai personaggi fittizi, a mimare e riprodurre i loro gesti. E, statene certi, di solito non amano i buoni: i buoni, in TV, sono quasi sempre noiosi. La prova ce l’ha fornita Antonio Ingroia, ex pm di Palermo: quando andò in onda la fiction su Totò Riina aveva dichiarato che gli studenti di una scuola di Partinico avevano ammesso di aver lo show e parteggiato per il boss. Mica per il poliziotto Schirò. Questo qualcosa vorrà pur dire, no?
Ad aggiungersi alla coda delle polemiche, poi, c’è anche un personaggio illustre, anche se per motivi diversi. La serie (alla cui scrittura ha partecipato anche Saviano) è stata infatti attaccata da Maradona: al pibe de Oro non è andato giù che il soprannome di uno dei personaggi dello show (un killer camorrista, mica uno per bene) sia proprio Diego Armando Maradona. L’ex calciatore ha schierato i suoi legali, chiedendo un risarcimento di ben 10 milioni di euro per «usurpazione dell’immagine e attacco alla notorietà».
Insomma, se da un lato c’è chi è sul piede di guerra, dall’altro ci sono gli amanti televisivi: perché sì, gli appassionati di serie, Gomorra l’aspettano. Eccome se l’aspettano: è il momento del nostro riscatto televisivo. Il made in Italy è sempre snobbato, deriso, ignorato, perché di solito fatica a staccarsi dall’immagine di preti e carabinieri. Però quando la TV italiana parla di qualcosa che conosce per davvero, quando dimentica le inquadrature appannate della fiction, le facce a ca**o di cane (come direbbe René Ferretti in Boris) e si immerge nella propria storia, ne può uscire qualcosa di buono. Romanzo Criminale è un esempio, ed è un esempio davvero lodevole, esportato in ben 40 Paesi è stato un successo in patria come all’estero. E Gomorra, almeno sulla carta, si preannuncia un degno erede, insieme a un’altra produzione targata Sky, attesa a breve: 1992. Da un lato, quindi, la camorra e la malavita dei quartieri napoletani, dall’altro invece la corruzione, la concussione e il finanziamento illecito ai partiti negli anni Novanta italiani. L’idea di 1992 nasce da Stefano Accorsi due anni fa, in occasione del ventennale dal caso di Tangentopoli: la storia racconterà le vicende di alcune persone comune le cui strade si intrecceranno con la famosa inchiesta di Mani pulite, ripercorrendo le tappe clou dello scandalo che ha frantumato la prima Repubblica, dall’arresto di Mario Chiesa all’avviso di garanzia recapitato a Craxi, allora segretario del Psi.
Televisivamente parlando si tratta di un passo in avanti non da poco: il piccolo schermo americano ci ha più volte insegnato come il legame con la realtà sia importantissimo. In quasi tutti gli show USA non mancano connessioni al presente storico, sia solo una battuta sul presidente Obama o una citazione inerente a una nuova legge approvata negli States. La fiction italiana invece ha sempre puntato di più sull’aspetto narrativo e fittizio, spingendo poco sul pedale del realismo. Gomorra e 1992 invece mirano a invertire la rotta, raccontando uno spaccato della vita attuale o passata dell’Italia. Se l’esperimento andrà a buon fine ancora non è dato saperlo, ma — per lo meno per Gomorra — i presupposti sono buoni: a scatola chiusa già 28 Paesi stranieri hanno acquistato i diritti. La rinascita del made in Italy, in termini televisivi, non può che ripartire da qui.