Dopo le nomineI nemici delle liberalizzazioni nel cda di Finmeccanica

I nemici delle liberalizzazioni nel cda di Finmeccanica

Nella tornata di nomine di metà aprile, Renzi è riuscito a imporre il ricambio ai vertici delle aziende pubbliche dando ampio spazio alle quote rosa: quattro presidenti (Todini, Marcegaglia, Grieco e Bastioli) di altrettante società controllate dallo Stato (Poste Italiane, Eni, Enel e Terna) sono donne. Gli amministratori delegati tutti uomini. La quinta società dell’elenco, Finmeccanica, è l’unica scampata al criterio dell’alternanza di genere. Il presidente uscente, Gianni De Gennaro, è stato – unico caso – riconfermato, pare grazie all’insistenza del Quirinale. Come amministratore delegato arriva Mauro Moretti, già ad di Ferrovie dello Stato.

Il consiglio di amministrazione di Finmeccanica S.p.a. – gruppo industriale controllato dallo Stato, attivo nel settore delle tecnologie, in particolare in ambito aerospazio, difesa e sicurezza – per la prima volta non vede la partecipazione di un militare. I cinque consiglieri sono Marta Dassù, ex vice-ministro degli Esteri, Alessandro De Nicola, avvocato e presidente della Adam Smith Society, Guido Alpa, presidente dell’Ordine degli Avvocati, Marina Calderone, presidente dell’Ordine dei Consulenti del lavoro e presidente del Comitato unitario delle professioni (Cup), e Fabrizio Landi. Quest’ultimo è considerato l’uomo di fiducia di Renzi. Landi è l’ex amministratore delegato di Esaote, azienda del settore biomedico, e nel 2012, per la campagna delle primarie tra Bersani, Renzi e Vendola, aveva finanziato il sindaco di Firenze con diecimila euro.

La composizione del cda è un’alchimia che si spera funzioni, convivendo persone con idee spesso diverse. Basti ad esempio la divergente visione sull’economia, in particolare con riferimento al ruolo degli Ordini professionali, che possono avere De Nicola – da liberale anche se avvocato vorrebbe abolirne il valore legale – e Alpa o Calderone, che da presidenti condussero un’aspra battaglia nel 2012 per bloccare sul nascere ogni tentativo di liberalizzazione ipotizzato dal governo Monti. La compresenza all’interno dello stesso consiglio di amministrazione di due presidenti di Ordini professionali è un elemento che salta all’occhio. Pone, forse, qualche dubbio sulla matrice liberale che dovrebbe avere l’iniezione di volti nuovi voluta da Renzi nelle aziende partecipate pubbliche, e che sembrava trovare conferma in alcuni nomi nei cda e nei ministeri.

Guido Alpa, oltre alla presidenza del Consiglio Nazionale Forense fin dal 2004, ha ricoperto ruoli dirigenziali in numerose associazioni e ha partecipato negli anni ’80 e ’90 a diverse commissioni ministeriali. Nel corso degli anni ha più volte esplicitato la sua sfiducia nei confronti della capacità del libero mercato di funzionare in determinati ambiti, in particolare quelli che vedono coinvolti gli Ordini. Una liberalizzazione della professione di avvocato sarebbe, secondo quanto Alpa affermava nel 2012, lesiva della «autonomia e indipendenza degli avvocati e della tutela dei diritti dei cittadini». Il suo Cnf, con l’Oua, Organismo unitario dell’avvocatoura guidato negli anni scorsi da Maurizio de Tilla, organizzò scioperi su scioperi degli avvocati, opponendosi in sostanza a qualsiasi riforma, dalla possibilità di fare pubblicità per gli avvocati agli studi legali su strada (epici gli scontri con l’Antitrust all’epoca guidata da Antonio Catricalà relativamente allo studio Assistenza Legale), dall’abolizione delle tariffe minime all’introduzione di compensi minimi per i praticanti. Per non parlare dell’ingresso di soci di capitale negli studi legali (come nella legge britannica ribattezzata “Tesco Law”), avversata in maniera durissima. Battaglie condotte non solo contro le riforme di Monti, ma anche, e forse con ancora più vigore, contro quelle ipotizzate da Angelino Alfano, Guardasigilli tra il 2008 e il 2011.

Marina Calderone, da presidente non solo di un singolo ordine ma del Cup, facendosi carico quindi dell’interesse di tutti gli ordini professionali, è apparsa più riformista (si dice che fu tra gli ispiratori, con l’ex presidente dei Commercialisti Claudio Siciliotti, del progetto di riforma delle professioni di Alfano), ma su alcuni punti fondamentali si è attestata sulla stessa linea di Alpa (che del Cup è comunque membro). «Un intervento finalizzato all’assimilazione dei servizi professionali alle regole della libera imprese – scriveva Calderone quando ad ipotizzare una liberalizzazione era stato l’allora ministro Tremonti – arrecherebbe grave pregiudizio alla salvaguardia di diritti costituzionalmente garantiti». E ancora, «una liberalizzazione, come quella che si paventa avrebbe effetti economici e sociali devastanti che porterebbe la grave compromissione delle opportunità occupazionali di tantissimi giovani che oggi accedono al mondo delle professioni»..

Non è necessario che tutti i membri di un consiglio di amministrazione condividano la stessa visione dell’economia, dei poteri dello Stato e di altri enti pubblici, del ruolo che questi devono avere nell’intervenire nel mercato. Anzi, dalla composizione di visioni differenti talvolta nascono le scelte migliori. Sarà la prova dei fatti a stabilire se il governo Renzi ha scelto bene, mettendo intorno allo stesso tavolo decisionale persone dal profilo così diverso tra di loro e, in alcuni casi, molto diverso anche rispetto a quello del presidente del Consiglio. La critica che già circola, in attesa di conferma o smentita, è che Renzi abbia puntato sulla discontinuità senza preoccuparsi troppo della coerenza.

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