I numeri del Def, votato ieri dal Consiglio dei Ministri, disegnano un mercato del lavoro ancora in fase di disfunzione, per quanto riguarda le variabili chiave del costo del lavoro e della produttività. La dinamica scollegata delle due variabili è prevista permanere almeno sino al 2018, con un costo del lavoro orario che aumenterà mediamente dell’1,3% all’anno, contro una crescita della produttività che si arresterebbe allo 0,6%.
Se queste previsioni si avverassero, l’Italia avrebbe il triste record della produttività più stagnante del globo almeno dal 1995, ovveroci avvicineremmo alle nozze d’argento fra il nostro paese e la stagnazione. Per di più, ciò significa che il costo del lavoro per unità di prodotto, che misura la forbice esistente fra le due variabili citate, è previsto aumentare mediamente dello 0,7% annuo. Non ci sono tracce di recuperi di competitività in queste cifre, la qual cosa è a dir poco preoccupante. Si spera che le stime degli impatti, trascurabili, delle riforme in cantiere sulle variabili più importanti a livello macroeconomico siano solo un esercizio di prudenza.
Eppure, confrontando questi dati con gli indicatori del mercato del lavoro,sorge il dubbio che le dinamiche dei tassi di disoccupazione (in calo dal 2015, e che si prevede all’11% nel 2018), ma soprattutto di occupazione (con un tasso di occupazione che dovrebbe salire di ben 2 punti percentuali) siano abbastanza ottimistiche, dato il quadro fosco presentato dallo stesso DEF in termini di produttività e costo del lavoro.