«Il giornalismo è e deve restare un servizio pubblico»

«Il giornalismo è e deve restare un servizio pubblico»

Nel dicembre 2013, il direttore del Guardian Alan Rusbridger fu chiamato a deporre in tribunale. Sei mesi prima, il suo giornale aveva pubblicato le rivelazioni di Edward Snowden sui programmi di sorveglianza di massa attuati dalla National Security Agency americana, dando loro risalto internazionale. Quando il pubblico ministero gli chiese se — dopo quello che aveva fatto, ovvero rendere pubblici i documenti dello scandalo— si sentisse un patriota, se amasse ancora il suo paese, Rusbridger rispose: «Sì, mi sento un patriota, e tra le ragioni che mi fanno sentire così patriottico ci sono la democrazia e la libera stampa». 

Ieri sera, presente all’Auditorium Parco della Musica di Roma insieme al direttore di Repubblica Ezio Mauro per l’anteprima del Festival di Giornalismo 2014 (qui il video integrale della serata), Rusbridger ha ricordato quella domanda, e ha ripercorso lo stupore provato nel momento in cui gli era stata posta. «Come giornalisti sappiamo che bisogna sempre bilanciare pesi e contrappesi», ha spiegato durante l’incontro, moderato dal corrispondente di Repubblica da Londra, Enrico Franceschini. «Ma l’interesse pubblico ha sempre la priorità». Un’opinione, la sua, avvalorata dal recente Pulitzer vinto insieme al Washington Post. Tra le motivazioni elencate nell’assegnazione del premio, i giurati hanno dato estremo risalto proprio al valore di “servizio pubblico” offerto dal quotidiano, attraverso la scrematura, la selezione e l’analisi delle rivelazioni del whistleblower sull’operato delle agenzie di spionaggio americane e inglesi ai danni di governi, istituzioni e semplici cittadini. 

«Le grandi storie come quella di Snowden ricordano alle persone perché il giornalismo è importante, e quali siano le sue potenzialità», ha spiegato Rusbridger, che ha posto l’accento sul ruolo fondamentale dei giornalisti e del loro rigore etico, nella quotidiana “battaglia” contro l’influenza del potere. «I giornalisti sono come le api, abbiamo bisogno di entrambi ed entrambi sono minacciati», ha spiegato il 60enne, da 19 anni al comando del miglior giornale del Regno Unito. È anche per questa ragione che, secondo lui, «ci sarà sempre la necessità di giornalisti professionisti e giornalismo professionale». Un mestiere che oggi, in alcuni paesi, «può anche significare morire», ha ricordato il direttore del Guardian, menzionando tutti i reporter che «ogni settimana» cadono «nel tentativo di raccontare la verità». 

Già, ma come difendere il giornalismo dall’influenza del potere in generale, e di quello politico in particolare? «Il mio primo comandamento è: mai andare a pranzo o a cena con un politico», ha spiegato Ezio Mauro, direttore di Repubblica, che ha fatto capire di aver lasciato Roma per Mosca nel 1988 anche per “staccare” dalle pressioni e le ingerenze della politica nella capitale. «Il secondo comandamento, invece, è: metti sempre una distanza tra te e il politico, una distanza rappresentata dalla penna e dal taccuino». Il potere cerca di banalizzare il lavoro dei giornali, confondendolo in un pulviscolo indistinto alimentato dalla corrente informativa del web. Ma «se la democrazia potesse parlare», ha aggiunto Mauro, «anche lei vorrebbe che ognuno facesse il proprio mestiere, che i governanti governassero, restando però controllati dal contropotere della stampa».

Rispetto al dopoguerra «la rete ha reso tutto contemporaneo — ha spiegato ancora Mauro. La funzione del giornalismo però è ancora molto importante: se in internet ciò che conta è la velocità di scorrimento, allora un saggio di Habermas o la pernacchia riuscita di un blogger rischiano di viaggiare nel flusso senza gerarchie, senza un segno distintivo. I giornali però non devono fare parte del flusso, devono tenere un piede dentro ed uno fuori, trattenendo solo i pezzi di notizia portatori di senso e che ritengono necessari per ricostruire la realtà. Chiediamoci perché sia Assange che Snowden hanno cercato i giornali e non hanno semplicemente pubblicato tutto in rete: la stampa ha selezionato e gerarchizzato quei materiali dandogli un senso, svolgendo la funzione propria del giornalismo, che non si può trasformare in un algoritmo e che risponde, ancora, a tre domande fondamentali: quel che bisogna sapere, quel che merita ricordare, quel che resta da capire», ha concluso Mauro.

Il Festival del Giornalismo comincia mercoledì 30 aprile a Perugia, e si concluderà domenica 4 maggio. Centinaia di ospiti nazionali e internazionali daranno vita a discussioni, conferenze, workshop e spettacoli teatrali. Qui il programma completo.

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