Centotrentatré pagine, due ministri – degli Interni e del Lavoro – in conferenza stampa e un titolo: «Aspetti legali e lotta all’utilizzo dell’assistenza sociale da parte dei cittadini degli Stati membri dell’Ue». Che tradotto dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, suona un po’ così: «Chi non trova lavoro, deve andarsene».
La Grosse koalition di Berlino, appena compiuti i suoi primi cento giorni di governo, ha annunciato che limiterà l’accesso dei cittadini europei al welfare e restringerà i permessi di residenza nel Paese: chi non trova un lavoro in un periodo dai 3 ai 6 mesi sarà espulso. Firmato Angela Merkel. Il timore di un’ondata migratoria di lavoratori bulgari e rumeni, avanzata all’inizio dell’anno dalla Csu bavarese, il partito coalizzato con la Cdu della Merkel, ha trovato il placet nel programma di governo.
«Il numero di immigrati dalla Bulgaria e Romania e la quantità di problematiche sociali in parte connesse restano accettabili a livello nazionale, ma inquietanti in alcune regioni. Ecco perché è un bene cercare delle soluzioni prima che diventi un grosso problema a livello nazionale» ha detto durante la conferenza stampa il ministro degli Interni, Thomas de Maizière, assieme al suo omologo agli Affari Sociali Andrea Nahles dell’Spd.
Secondo le autorità di Berlino circa 200 mila cittadini dell’Est sono in procinto di arrivare nel Paese, attratti non solo dalle possibilità di lavoro, ma anche dai generosi sostegni sociali. Finora in Germania vivono poco più di 200 mila rumeni e poco meno di 120mila bulgari, di cui però solo il 7 per cento sarebbe disoccupato, e solo lo 0,7 per cento riceverebbe aiuti sociali, un dato parecchio inferiore rispetto ad altre nazionalità.
A guardare i numeri in Germania ci sono di gran lunga più polacchi, italiani e greci. Senza contare l’ondata degli spagnoli che dal 2004 al 2012 è salita del 206 per cento. Come a dire che la situazione potrebbe complicarsi non solo per gli europei dell’Est.
Le misure che puntano a sanzionare chi abusa del sistema sociale tedesco, infatti, possono arrivare all’espulsione e al divieto di rientrare in Germania per un certo lasso di tempo. Misure per ora apparse in una relazione preparata da una commissione ad hoc in gennaio e che saranno oggetto di un rapporto più dettagliato atteso per il mese di giugno.
Ma c’è di più: chi si è appena trasferito dovrà vedersela con un inasprimento delle condizioni per accedere a determinati sussidi, come quello relativo ai figli a carico (chiamato Kindergeld) che finora è stato sempre riconosciuto a tutti gli abitanti del Paese.
Insomma anche i tedeschi potrebbero aggiungersi al club degli Stati che hanno rivisto – o sono in fase di revisione – il diritto alla libera circolazione europea, come l’Austria o i Paesi Bassi. Senza contare il più recente referendum in Svizzera sulle politiche immigratorie, anche se il Paese non fa certo parte dell’Unione.
Sta di fatto che le pressioni populiste dovute alla crisi economia hanno portato diversi Stati comunitari a puntare gli occhi su una direttiva finora poco studiata. Il testo che regola la libera circolazione delle persone nel continente offre aspetti poco chiari, ai quali la maggior parte dei Paesi non aveva mai prestato attenzione. Almeno finora. I membri dell’Ue infatti possono espellere dei cittadini, solo in «circostanze eccezionali», specialmente in casi di residenza prolungata o di presenza di minori. Il punto è dunque chiarire quali sia l’eccezionalità, secondo la Commissione europea.
Frattanto però c’è chi ha già fatto da se: il Belgio, proprio in virtù di quegli articoli poco chiari, l’anno scorso ha espulso quasi 3 mila cittadini Ue.
Oltre lo stretto della Manica, poi, la svolta di Berlino è stata salutata dagli applausi dei tories inglesi. Pochi giorni fa lo stesso premier David Cameron, in vista delle prossime elezione europee, aveva presentato, nero su bianco, un piano dove ha dettato regole ben precise per la permanenza della Gran Bretagna nell’Unione europea. Tra queste anche il controllo in ingresso degli immigrati – comunitari e non – e la limitazione ai sussidi statali. Tanto più che il mese scorso la stessa cancelliera tedesca, in un discorso a Londra , aveva riconosciuto le preoccupazioni britanniche sull’abuso della libera circolazione all’interno dell’Unione. Va da sé che la ricetta francese di Marine Le Pen, che alle amministrative francesi di domenica scorsa ha letteralmente trionfato, sembra siano destinate a diffondersi nel resto d’Europa.
Bruxelles, dal canto suo, riconosce che ci sono dei «problemi locali» in determinati territori e spinge i governi a risolvervi, senza toccare il principio generale della mobilità europea.
Che si attinga al Fondo sociale europeo, dicono dalla Commissione. La Germania ci sta pensando: ha già annunciato che metterà sul tavolo 200 milioni di euro per le amministrazioni più preoccupate, tra cui Duisburg, Francoforte, Monaco, Offenbach e Amburgo.
Ma la soluzione è di là dal venire, e proprio quando le elezioni europee sono ormai dietro l’angolo. E forse allora sarà davvero un Auf Wiedersehen.