E dunque Remontada, rimonta impossibile: vedi alla voce imprese proibitive. È vero che bisogna trovare un motivo di interesse per il campionato a tutti i costi, ma è vero anche che – malgrado le leggende giornalistiche – è ancora matematicamente fattibile l’impresa della Roma che corre per inseguire la Juventus.
Il primo punto di paradosso è questo: il calendario della Juventus sulla carta è molto più facile di quello della Roma. I bianconeri se la devono vedere, infatti, con due squadre che si trovano sempre più impelagate sul bassofondo della classifica, il Sassuolo e il Bologna, più all’ultima giornata un Cagliari apparentemente demotivato (e minato da un recente esonero), più – in mezzo a questa sequenza – due sfide di media intensità con l’Udinese e l’Atalanta. La Roma, al contrario, deve affrontare due squadre che sono in lotta per la zona coppe, la Fiorentina e il tormentato Milan, il confronto diretto terribile con la Juve e una ultima giornata con il corposo Genoa.
Se dipendesse dalla razionalità dei numeri, dalle legge implacabile delle probabilità, quindi, la partita dello scudetto sarebbe già chiusa. Invece, il fascino di questa sfida è che porta a coronamento la storia di un campionato del tutto asimmetrico. Il momento peggiore della Roma, tanto per dire, è stato quello immediatamente successivo alla sequenza magica delle dieci vittorie consecutive d’esordio. Il momento peggiore della Juventus, inizia adesso, quando dopo un altro primato simile, la sconfitta di Napoli dopo quattordici vittorie, ha fotografato uno stato d’animo di difficoltà e una condizione fisica di stanchezza, che era già visibile almeno nelle ultime gare: i bianconeri avevano faticato moltissimo a Genova, con il Parma, e persino con il Catania.
È bello dunque, che la Remontada, in un campionato in cui la polemica tra De Laurentiis e Conte sembrava suggerire che il cuore del problema sia diventata un’equazione di soldi e ingaggi, si ritorni al thrilling, all’imponderabile e all’irrazionale, all’elemento di dubbio che è dato dalla difficile tenuta di una squadra, un dubbio alimentato dal conflitto dei caratteri e dei talenti. Ho detto tante volte (anche attirandomi le incomprensibili invettive di alcuni tifosi juventini vagamente talebani), che quello di questo campionato è un bellissimo confronto fra due diverse personalità, tra due antropologie inconciliabili: da un lato c’è il nervosismo elettrico di Conte, agonistico, cattivistico e terribilmente competitivo, l’ideologia del primato inteso come un assoluto che legittima qualunque cosa, e che sacrifica tutto in nome del dogma della vittoria. Dall’altro – invece – c’è la filosofia di Rudi Garcia, questo filosofo casualmente diventato allenatore, questo uomo olimpico che ha plasmato una squadra neoclassica e romantica, una squadra giovane, che si trova all’inizio di un ciclo e che ha sofferto come un lutto -nella prima parte del campionato – l’assenza del suo capitano.
La Juve è una squadra che vive il punto più alto di maturazione di un collettivo, dopo almeno tre campionati di gestazione. La Roma è una squadra che è stato appena rifondata, all’anno zero, e che tuttavia insegue un’impresa impossibile, con più facilità da quando insegue rispetto a quando era inseguita. La cosa bella di questa sfida terminale tra due diverse fenomenologie, è che stavolta non contano gli ingaggi, non contano i soldi, non conta la lunghezza delle panchine, non conta nemmeno l’influenza astrale degli arbitri, e dei loro umori diuturni: questa volta è davvero Sparta contro Atene, l’ideologia del primato assoluto di Conte, con le sue frustate negli spogliatoi, e la filosofia di Garcia, l’idea della Chiesa che torna al centro del villaggio, della vittoria come prodotto di una serenità ritrovata.
I titolari-ottimati della Juventus da un lato, spremuti nell’esaltazione del sacrificio, la squadra-collettivo del francese dall’altro, dove tutti entrano ed escono, allargando la rosa delle potenzialità. Certo, la Remontada sembra impossibile sulla carta, e potrebbe prendere corpo solo se la Juve dopo un campionato in cui ha polverizzato qualunque record, finisse per inanellare tre pareggi e una sconfitta in sette partite. Una sfida probabilistica, resa ancora più ardua, dalla prospettiva parallela di una Roma che vince tutte le partite fino arrivare a un record di quattordici successi competitivi. Eppure il nemico della Juve di oggi, lo spettro che è lo stesso della Roma di quest’inverno: il dover vincere, dover fare comunque e sempre risultato. Sarebbe incredibile se la sfida tra Sparta e Atene fosse decisa dall’impalpabile e calviniana leggerezza della serenità.