Questa volta è diverso. Lo si sente ripetere spesso in occasione delle elezioni europee di maggio, e in realtà non è una esagerazione. Queste di maggio sono le prime elezioni sulla base del nuovo trattato di Lisbona che ha introdotto un’assoluta novità: per la prima volta non sarà indifferente, ai fini della nomina del presidente della Commissione, quale gruppo politico vincerà. Una novità fondata sull’articolo 17, paragrafo 7, del Trattato sull’Unione Europea: «tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono».
Traduciamo: se, come sembrano indicare gli ultimi sondaggi, il primo gruppo al Parlamento europeo sarà quello dei Popolari, il nuovo presidente della Commissione dovrà appartenere a questo gruppo. Non c’è automatismo, non a caso vari stati membri impedirono, al momento dell’elaborazione del trattato di Lisbona si andasse oltre l’espressione “tenuto conto” — che lascia ampi spazi di manovra ai governi. In teoria, insomma, i governi potrebbero anche scegliere un altro nome ignorando i risultati delle elezioni.
Certo è che le nuove regole hanno spinto a un’altra assoluta novità: vari gruppi parlamentari hanno indicato il loro candidato ufficiale alla presidenza della Commissione. I Popolari, con il consenso anche del cancelliere Angela Merkel, hanno indicato l’ex premier lussemburghese nonché ex presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker. I Socialisti europei, l’attuale presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. I Liberali, l’ex premier belga Guy Verhofstadt. I Verdi hanno due candidati: la tedesca Ska Keller e il francese José Bové, la sinistra unitaria il greco Alexis Tsipras. La partita, in realtà si gioca tra i primi due gruppi, e, altra novità, si sta assistendo a una vera e propria campagna elettorale europea. Juncker ha addirittura affittato un pullman con su scritto Juncker for president che sta girando per l’Europa, con messaggi riassunti in pochi, chiari punti. Ben prima di lui ha cominciato Schulz, che ha già fatto un bel giro di capitali (ma senza pullman).
Le novità non finiscono qui. Come in qualsiasi normale elezione nazionale, ci sono anche i “duelli” televisivi tra candidati. Anzitutto tra Juncker e Schulz. Uno c’è già stato, in francese, il 9 aprile, ospitato dalle reti France24 e RadioFranceInternational, ne seguirà un altro, in tedesco, l’8 maggio su invito del secondo canale pubblico tedesco Zdf e della televisione austriaca Orf, seguito da un altro (su invito questa volta della prima rete tedesca Ard) il 20 maggio, a ridosso insomma del voto. Per un più vasto pubblico (visto che la lingua prevalente sarà l’inglese) ci sarà comunque un dibattito tra tutti i candidati alla presidenza della Commissione europea dei vari partiti, che si terrà il 15 maggio su iniziativa dell’Ebu (European Broadcasting Union) e sarà ritrasmesso dai membri dell’associazione (tra cui figura anche la Rai).
I tre principali gruppi (Popolari, Socialisti e Liberali) hanno annunciato che subito dopo il voto si riuniranno per valutare quale candidato ha maggiori possibilità di ottenere la maggioranza – una sorta di “inciucio”, si direbbe dalle nostre parti, che non è piaciuto a molti, a cominciare dai Verdi che hanno duramente protestato. E, naturalmente, resta da vedere se poi davvero i governi si atteranno alle candidature ufficiali alla presidenza della Commissione.
I governi dovranno decidere sulle nomine Ue al vertice di giugno, ma già il 27 maggio, due giorni dopo il voto, i leader dei Ventotto si ritroveranno a cena a Bruxelles per una prima discussione sui risultati. Malumori in realtà non mancano, a cominciare dalla Gran Bretagna che vede con orrore qualsiasi avvicinamento dell’Ue a qualcosa di simile a uno Stato e dunque vede come il fumo negli occhi l’idea che il nome del prossimo presidente della Commissione possa uscire dalle elezioni europee. Londra, ma non solo essa, ha inoltre definito “idiota” l’idea di vincolarsi a un nome, mentre potrebbero esserci altri nomi di premier o ex premier. Ad esempio il finlandese Jyrki Katainen, non a caso dimessosi solo pochi giorni fa per esser libero per cariche europee (Juncker, che si sente già presidente della Commissione, gli ha già promesso un «importante portafoglio» nella Commissione). Gira anche il nome dell’irlandese Enda Kenny e del polacco Donald Tusk. Da un po’ di tempo si è aggiunto con forza, qui nel campo socialdemocratico, anche il nome della premier danese Helle Thorning-Schmidt.
Certo, in nome del consenso potrebbe esserci una “sorpresa”, magari dando a Juncker e a Schulz dei contentini (una voce vede Juncker come nuovo presidente del Consiglio Europeo, visto che Herman Van Rompuy è in scadenza, e un’altra Schulz al posto di Catherine Ashton, anche lei in scadenza, come Alto rappresentante per la politica estera Ue). Il segnale ai cittadini, tuttavia, non sarebbe certo dei migliori. E darebbe certamente acqua al mulino dell’altra, probabile, grande novità di questo voto: l’avanzata delle destre più o meno estreme e dei movimenti anti-Ue e anti-euro. Secondo un sondaggio del sito PollWatch del 16 aprile, l’alleanza lanciata dalla leader del Front National Marine Le Pen insieme alla Lega Nord, al movimento xenofobo dell’olandese Geert Wilders, la destra austriaca dell’Fpö e vari altri movimenti analoghi di diversi paesi europei, dovrebbe avere 38 deputati di 7 stati membri, abbastanza da costituire un gruppo di estrema destra nell’aula di Strasburgo. Sommando loro all’ampio spettro di movimenti eurocritici o apertamenti anti-Ue (dai Conservatori britannici al Front National), si potrebbe avere un fronte di 169 eurodeputati su 751, il 22,5 per cento del totale degli eurodeputati. Una cifra così elevata non si è mai vista nel Parlamento europeo. Anche per questo le risposte – e non solo sulle nomine Ue, ma anche sull’intera politica dell’Unione – che daranno i governi saranno davvero cruciali. Sì, si può davvero dire che «questa volta è diverso».