Bergoglio vuol cambiare, i vescovi italiani non troppo

Bergoglio vuol cambiare, i vescovi italiani non troppo

Un anno dopo ancora in Vaticano: l’appuntamento del papa con l’assemblea dei vescovi italiani si ripete, come da tradizione, a maggio, ma stavolta c’è qualcosa che non va. L’assise della Cei sarà infatti aperta a sorpresa lunedì 19 da un discorso del vescovo di Roma; si tratta di una novità assoluta che sembra ridimensionare una volta di più il ruolo del presidente, Angelo Bagnasco, il quale pronuncerà il suo intervento il giorno dopo. D’altro canto da quando un anno fa il papa chiese riforme profonde ai circa 230 vescovi italiani, poco è cambiato, anzi l’episcopato sembra rispondere timidamente alla novità proposta da papa Francesco. Da una parte si delinea una resistenza passiva guidata dai cardinali e dagli arcivescovi delle grandi diocesi, una sorta di palude silenziosa che non ama troppo il nuovo corso bergogliano pur non dichiarandolo apertamente; dall’altra si registra una divisione interna alla stessa Cei non ancora esplosa pubblicamente, eppure latente.

Un anno fa Bergoglio aveva avanzato richieste precise: nuove modalità per la scelta del presidente della Cei che non doveva più essere indicato dal papa ma eletto dalla conferenza episcopale come avviene nel resto del mondo; una riduzione del numero delle diocesi – oggi poco più di 230 –, un maggior peso alle conferenze episcopali regionali, la riduzione della burocrazia interna alla Chiesa, la valorizzazione del ruolo dei laici, nuove forme di svolgimento per le periodiche riunione del consiglio episcopale permanente – l’organismo dirigente della Cei – finora caratterizzate in modo determinante dalla prolusione del presidente dei vescovi.

Di tutto questo fino ad ora si è visto poco e niente. L’elezione del capo dei vescovi è stata sostanzialmente rifiutata dal corpo del dell’episcopato come ha detto ormai più volte il nuovo segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino. Quest’ultimo nominato nei mesi scorsi dal pontefice al posto si monsignor Mariano Crociata, viene dalla piccola diocesi calabrese di Cassano Jonio (Cosenza) e sta svolgendo di fatto le funzioni di commissario della Cei operando su indicazione diretta del papa. L’orientamento generale emerso fra i vescovi della penisola, ha spiegato Galantino, è quello di operare magari una prima selezione fra i candidati ma poi di lasciare l’ultima parola al pontefice che è anche primate d’Italia. Un modo forse per mantenere una sorta di rapporto privilegiato con la Santa Sede, si tratta però di una soluzione non condivisa da Bergoglio il quale avrebbe preferito una maggiore apertura alla riforma e al cambiamento.

In ogni caso una volta approvati i nuovi Statuti della Cei si dovrebbe procedere anche all’elezione, in un modo o nell’altro, del nuovo presidente, ma certo se i tempi di tutta l’operazione si dovessero allungare oltremisura, la situazione richiederà un intervento del papa. Se infatti Bagnasco è ancora formalmente al suo posto, la scarsa sintonia con Francesco è risultata evidente nel corso dei mesi. Il papa, da parte sua, prima ha nominato cardinale un arcivescovo poco noto all’opinione pubblica come Gualtiero Bassetti di Perugia, quindi ha assegnato il compito di scrivere le meditazioni per la via Crucis del Colosseo a monsignor Giancarlo Bregantini, vescovo di Campobasso già per molti anni vescovo a Locri, in Calabria, dove era noto per il suo impegno contro la ‘ndrangheta.

E sembrano proprio questi ultimi due i più probabili candidati alla successione di Bagnasco alla guida della Cei. C’è poi da considerare l’ascesa di monsignor Bruno Forte, teologo, vescovo di Chieti, chiamato da Bergoglio nel delicato ruolo di Segretario speciale del prossimo sinodo straordinario sulla famiglia, cioè l’assemblea dei vescovi di tutto il mondo che affronterà vari temi controversi come quelli legati alla sessualità, alle coppie omosessuali, ai divorziati risposati. Da considerare, inoltre, che il Papa fino ad oggi è stato a Lampedusa, a Cagliari, ad Assisi; andrà poi in Calabria quindi a Campobasso dallo stesso Bregantini, e infine si dovrebbe recare a Taranto dove c’è un altro vescovo che conosce bene, monsignor Filippo Santoro.

Se piccole diocesi, realtà sociali critiche e Mezzogiorno sono le bussole che orientano gli spostamenti italiani del papa argentino, è anche vero che in nessuna delle grandi diocesi italiane il papa trova degli interlocutori di cui sembra fidarsi fino in fondo. A Milano c’è il cardinale Angelo Scola, area Comunione e liberazione e avversario di Bergoglio in conclave; a Palermo il cardinale Paolo Romeo ha già scritto la lettera di dimissioni avendo raggiunto il limite dei 75 anni di età, a Napoli resiste il vulcanico Crescenzio Sepe, un tempo alla guida della potente congregazione vaticana di Propaganda Fide, mandato poi a Napoli da Benedetto XVI, non pare destinato a un futuro radioso con Bergoglio. A Firenze si trova il ruiniano doc Giuseppe Betori, in passato segretario della Cei durante gli anni della presidenza Ruini, anche lui non compare fra gli uomini in ascesa. C’è poi il caso dei due arcivescovi di Torino e Venezia, Cesare Nosiglia e il patriarca Francesco Moraglia – di scuola ruiniana il primo, legato al cardinale Mauro Piacenza il secondo – che non hanno ricevuto la berretta rossa cardinalizia in occasione dell’ultimo giro di nomine (Piacenza è fra i pochi capidicastero curiali subito allontanati da Francesco). Nel rallentamento del processo di riforma interna della Cei non va dunque sottovalutato lo scontro fra questi due partiti, i bergogliani e la ‘palude’. Infine da ricordare il recente allontanamento di Dino Boffo dalla guida di Tv2000, l’emittente televisiva della Cei, uomo simbolo dell’epoca ruiniana.

La vicenda del difficile rapporto fra la Santa Sede e la Cei è costellata poi di altri piccoli ‘incidenti’. Da quando un anno fa il papa ha sancito la fine della centralità dei principi non negoziabili nel magistero ecclesiale, i vescovi italiani non sono infatti sembrati in grado di elaborare una nuova presenza nella società italiana. Così è avvenuto, per esempio, che il grande raduno della scuola con il papa del 10 maggio scorso messo in agenda a suo tempo dalla Cei, non è stato caratterizzato dalla consueta richiesta di finanziamenti per gli istituti cattolici, è diventato invece una celebrazione di tutta la scuola e dei suoi valori all’insegna di un sacerdote-educatore come don Milani, a lungo dimenticato dalla memorialistica ufficiale della Cei.   

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