Mentre questo weekend Roma si trova invasa dai droni e a Ginevra chiude il consueto appuntamento con Ebace, il salone svizzero dell’aviazione, ai ministeri della Difesa di Francia, Germania e Italia si sta cominciando a lavorare a tutti gli effetti alla proposta comune tra Alenia Aermacchi, società di Finmeccanica, Airbus e Dassault Aviation per lo sviluppo di un drone (aereo avanzato a pilotaggio remoto) di nuova generazione europeo. Si tratterà del primo Uas (European Unmanned Aerial System, ndr) made in Ue.
Il progetto Male2020 consentirà «di spingere la tecnologia oltre i livelli attuali», ha detto Giuseppe Giordo, ceo di Alenia Aermacchi, «e garantire così la capacità all’Europa di sviluppare una nuova generazione dei sistemi aerei da difesa mantenendo nell’ambito della nostra industria l’attuale elevato livello di talento e esperienza». Un evento di per sé molto interessante nel panorama europeo della difesa, ma che potrebbe diventare precursore di nuove e forti alleanze ora che la Francia potrebbe avere smesso di guardare sempre a Parigi. Dassault aveva lavorato a una joint venture con l’inglese Bae (la seconda più grande impresa di difesa del mondo ed è la più grande in Europa) per velivoli senza pilota. È finita con l’entrare nel consorzio dei droni Male (Medium Altitude – Long Endurance) assieme a Eads (cioè Airbus Group, ndr) e Finmeccanica forse perché non aveva tante altre alternative. Poi negli ultimi mesi il progetto subisce una accelerazione non solo per la validità dei contenuti ma anche perché le uscita di scena prima di Sarkozy e poi di Serge Dassault spalancano una serie di porte. Le stesse che potrebbero nei prossimi anni cambiare il profilo dell’industria della Difesa europea.
A febbraio del 2012 Nicolas Sarkozy in persona annuncia la più grande commessa militare della storia di Francia. L’India ordina 126 caccia Rafale per un totale di 12 miliardi di dollari e per la gioia di Serge Dassault, figlio del fondatore dell’omonima ditta, senatore di destra del partito Ump, proprietario di Le Figaro, nonché grande amico di Sarkò. Quella commessa fa imbufalire i vertici del consorzio Eurofighter, il caccia europeo (partecipato anche da Finmeccanica) prodotto con tecnologia inglese, italiana e quella franco-tedesca di Eads. Ovvero, la holding di Airbus che tra le altre partecipazioni detiene una quota del 46% della stessa Dassault. In poche parole, un vero e proprio smacco. Da un lato la Francia mette un piede nella Difesa comune europea e dall’altro manovra per vendere armi made in France senza distribuire alcuna fetta di torta agli altri Paesi.
A febbraio di quest’anno, però, il pilastro fondamentale del protezionismo parigino, Serge Dassault, viene messo agli arresti. All’età di 88 anni. Non appena persa l’immunità parlamentare, i magistrati provvedono al mandato con l’accusa di voto di scambio. Avrebbe pagato per garantirsi l’elezione a Corbeil-Essonnes, a est di Parigi, dove ha ricoperto la carica di sindaco. Un evento fino a poco tempo fa inimmaginabile, considerando i legami politici di Dassault. Causa ed effetto di un patrimonio che lo ha fatto finire al 69esimo posto della classifica mondiale di Forbes. Iper-criticato per le sue uscite (fecero scalpore quelle contro i gay e le scuole di giornalismo che «formano solo cronisti di sinistra»), gli attacchi si sono sempre fermati alla parte folkloristica del personaggio. Il doppio ruolo di industriale e di cerniera tra politica e affari non è mai stato messo in discussione. Almeno fino ad ora. Le famose «Raffiche», i Rafale, acquistate dagli indiani sono state prenotate anche dall’Aeronautica di Parigi. Recentemente, però, l’ordine 2014-2019 è stato ridimensionato da 66 esemplari a 26 per ristrettezze di bilancio. Ma quello che potrebbe contare veramente sarebbe lo spostamento del favore della politica da Dassault a Eads col risultato di rimettere in discussione la storia recente delle fusioni. O almeno dei tentativi.
Nell’ottobre 2012 già sotto il “regno” di Hollande parte la trattativa per la fusione tra il consorzio Eads e l’inglese Bae Systems. Sarebbe potuto nascere il primo colosso europeo della Difesa. L’operazione invece salta perché la Germania non accetta le condizioni poste dalla controparte francese. L’edizione europea del Ft raccoglie alcune indiscrezioni di manager Eads. «Al tempo di Sarkozy», dicono, «non sarebbe nemmeno stato possibile affrontare l’argomento fusione». Ma il timore di danneggiare i jet Dassault non sparisce del tutto. Resta anche tra i ministri di Hollande. E proprio questo timore produce la rigidità francese che i tedeschi (di per sé non troppo convinti dell’operazione) usano come leva per far saltare il banco.
A metà 2013 alcuni giornali tedeschi raccontano di nuove trattative Eads-Bae. Non vengono confermate. Ma lo spunto interessante da valutare, alla luce della caduta del patron di Dassault, è la richiesta del fondo Tci avanzata ad agosto 2013 alla stessa Eads. Il fondo chiede espressamente alla holding di vendere la partecipazione nel Rafale. Ritenuta sterile e in contraddizione con i piani di crescita, soprattutto quelli militari. Tom Enders, ad di Eads, pur avendo cambiato il sistema di governance ha precedentemente di fatto siglato un patto che consente a Parigi una sorta di Golden Share. Quel 46% di Dassault non può finire in mani straniere. Per questo emerge un’ipotesi interessante: sfilare i jet dell’amico di Sarkozy dal perimetro di Eads e costruire una nuova partnership con Thales, di cui Dassault ha il 26% e lo Stato francese un altro 27. Gli analisti si mettono subito al lavoro per ipotizzare una fusione tra le due società, ma ad opporsi è di nuovo Serge in persona.
Adesso la situazione è drasticamente cambiata e difficilmente avrà la forza di sbarrare certe aperture di mercato. La società dei Rafale e dei Mirage si trova in un angolo e se in futuro Parigi decidesse a favore del passaggio di mano del 46% di Dassault in mano a Airbus, magari in vista di un matrimonio con Thales, potrebbe anche aprirsi il grande risiko europeo della Difesa. Potrebbe ritornare attuale il progetto di fusione tra Eads e Bae. Non è da escludere. E se andasse in porto, Finmeccanica si troverebbe di colpo socio di minoranza nel programma Eurofighter e, sul fronte generale della Difesa, nella necessità di guardarsi in giro per avere le spalle un po’ più grosse.