C’è stato un momento in cui se a un attore o a un regista di Hollywood fosse stato chiesto di fare un prodotto televisivo, sarebbe saltato giù dalla sedia sbraitando. Certo, tutti i grandi del cinema hanno fatto televisione nella propria vita. Ma dopo aver raggiunto l’apice, dopo essere approdati sul grande schermo, tornare al piccolo significava solo una cosa: sconfitta, disfacimento, fine dell’epoca d’oro. Grande batte piccolo, questo era il mantra fino a pochi anni fa.
Poi c’è stata la rivoluzione e quel medium fino a ieri considerato semplicistico e popolare è diventato la nuova arca di Noè, nuova realizzazione di quella metafora che ribadisce, in continuazione, come nella botte piccola ci sia il buon vino. E che vino, ragazzi! A dirlo non sono i fanatici di serie televisive, quelli che divorano quaranta episodi a settimana, i cosiddetti “nerd del piccolo schermo”. No, a ribadirlo sono gli stessi attori di Hollywood che sempre di più fanno a gara per aggiudicarsi un posto di primo piano in uno show a puntate, da Kevin Bacon (The Following) a Steve Buscemi ( Boardwalk Empire), da James Spader (The Blacklist) a Robin Williams (The Crazy Ones). Un elenco che anno dopo anno appare sempre più lungo, a testimonianza di come l’arte che si basa sulle immagini in movimento abbia raggiunto un nuovo equilibro, una nuova fase della propria esistenza.
A confermare questo nuovo passaggio è stato Matthew McConaughey, fresco di Oscar come protagonista di Dallas Buyers Club, che non ha avuto dubbi quando gli hanno offerto di vestire i panni di Rust Colhe nel primo capitolo della serie antologica di HBO True Detective: «è un momento diverso per la televisione» ha detto in un’intervista a Collider.com. «Nel momento in cui mi hanno chiamato non ho pensato “sì, lo faccio, ma aspetta un minuto: è televisione”. […] Ho pensato: “Televisione? Ottimo! È il giusto momento per farlo”. Alcuni dei migliori drama di oggi sono in TV». Quel mostro sacro di Kevin Spacey, che di Oscar ne ha vinti due – uno per American Beauty, l’altro per I soliti sospetti –, lo ha affermato senza mezzi termini in occasione dell’Edinburgh International Television Festival: «francamente 15 anni fa […] il mio agente non mi avrebbe permesso di prendere in considerazione una serie televisiva dopo aver vinto un Oscar». Eccolo invece ora essere il volto di punta di House of Cards.
Attenzione, non cadiamo nel tranello: la TV non è il nuovo cinema. Non esiste una gara, non c’è meglio o peggio, bene o male, sono due universi paralleli che se confrontati su un piano di qualità oggi sono a pari merito. Non esiste più il gap, non esiste più il divario. Il cinema continua a regalare chicche favolose ma le serie TV non sono da meno e titoli come Breaking Bad, The Good Wife, Games of Thrones, House of Cards lo hanno dimostrato e continuano a farlo, attirando sempre di più l’attenzione di VIP e celebrità di Hollywood.
Gli ultimi della lista? La bella Eva Green (la musa di Bertolucci in The Dreamers oltre che Bond Girl in Casinò Royal) sarà la protagonista dell’horror di Showtime Penny Dreadful e Matt Dillon (Crash) il volto di una nuova serie prevista per l’estate, Wayward Pines, ispirata all’omonimo libro di Blake Crouch.
Successi assicurati? Assolutamente no. Il grande nome aiuta ma non è sufficiente a garantire il buon esito di una produzione, come evidenziato dalla recente riorganizzazione dei palinsesti del prossimo anno che ha eliminato due show che facevano della presenza di un nome importante il proprio punto di forza. Il primo è The Michael J. Fox Show con protagonista l’omonimo attore (eterno Marty McFly di Ritorno al futuro): la comedy che doveva far riflettere e sorridere sul Parkinson è scivolata in una realizzazione bonaria e a tratti moralista che non ha conquistato il benestare del pubblico. Cassata dagli ascolti, non vedrà la prossima stagione. Stessa sorte per The Crazy Ones: non è bastata la presenza di un mostro della risata come Robin Williams: il 10 maggio CBS ha ufficialmente cancellato la serie dopo mesi di incertezza. Poco sono serviti i moltissimi premi (un Oscar, 5 Golden Globes, 2 Emmy) e un curriculum con una sfilza infinita di film, alla fine dei conti è “mamma audience” a decidere.