«Noi saremo là per bloccare tutto quanto andrà contro la volontà dei popoli europei. Per evitare nuovi allargamenti, per evitare nuove politiche di austerità e per evitare nuovi trasferimenti di sovranità». Marine Le Pen è uno dei personaggi del momento, in questa prima vera campagna elettorale europea che chiede un voto anche per scardinare l’Europa. La leader del Front National è impegnata in un lungo tour elettorale in Francia, fra misure di sicurezza strettissime. Perché la amano o la odiano. Città, periferie, villaggi di campagna: ovunque a dire che deve tornare a esserci la Francia prima di tutto coi suoi valori tradizionali, che ci devono essere prima di tutto i francesi che cercano un lavoro, che bisogna uscire dall’euro e tagliare i troppi vincoli dell’Unione europea perché le decisioni vere devono essere prese a Parigi e non a Bruxelles, dalla gente e non dalle banche.
A una settimana dal voto, la Le Pen, il cui partito i sondaggi danno al primo posto in Francia con una media del 23%, deve già guardare a che cosa accadrà dopo una mobilitazione così ingombrante. Ce lo spiega al termine di una tappa a Les Andelys, un paesotto da cartolina nella valle della Senna, dove alla pacifica vita di provincia si aggiunge la crisi del lavoro e dell’identità sociale, a cui la ricetta del Front National offre evidentemente qualcosa a cui aggrapparsi, non solo per ragioni di appartenenza ideologica.
«Per prima cosa dovremo costituire un gruppo parlamentare – ci spiega -. Stiamo lavorando con molte altre forze, il Vlams Belaang belga, la Lega Nord e Fratelli d’Italia, il Pvv olandese e altri, ma non con partiti come Alba Dorata. Aspettiamo le elezioni e vedrete. Il secondo impegno sarà subito quello di bloccare il trattato di libero scambio fra l’Ue e gli Usa, dobbiamo difendere la nostra agricoltura, le nostre imprese, il nostro commercio».
Se questa galassia di forze di destra saprà andare d’accordo, potrebbe essere la terza incomoda dietro a Socialisti e Popolari. «Qui – continua la presidente del Fn – c’è una nazione che vuole essere un popolo libero. Tutte le nazioni europee oggi hanno un sentimento di ostilità verso l’Ue, che io chiamo Unione sovietica europea. Anche la Lega ha cambiato la sua visione e ha preso coscienza che l’Europa e l’euro sono un fastidio, la stessa linea del Front National: siamo felici di aver contribuito a far aprire gli occhi non solo ai francesi ma anche agli altri popoli europei». Per la Le Pen sta «tornando l’Europa dei popoli», che poi certo potranno stare insieme ma in una «cooperazione libera» dai vincoli di una struttura considerata solo burocrazia al servizio della finanza internazionale. «C’è da parte nostra molta attenzione e anche dolore – aggiunge per esempio rivolgendosi a una troupe della tivù di Atene – nel vedere come sono stati trattati dall’Ue popoli amici come quello greco».
I suoi sostenitori, non solo in Francia, vedono nel carisma di Marine Le Pen la possibilità di trasformare l’estrema destra in una forza di governo e in una voce non più marginale nemmeno sul piano dei valori ispirati a quello della nazione. Rispetto a quando la leadership era (fino al 2011) nelle mani del padre Jean-Marie, che pure arrivò al ballottaggio per le presidenziali contro Jacques Chirac nel 2002, il Fn che era nato come forza ispirata al Msi italiano si è dato un volto più presentabile ed esprime diversi sindaci pur rimanendo una forza nazionale di opposizione e di protesta. Quello che oggi sembra dargli un’energia irresistibile è però la prolungata crisi sociale e di fiducia nei confronti del potere e dei partiti tradizionali, a cui il programma del movimento offre una prospettiva di sicurezza.
Gli avversari vedono invece la schiera di Marine Le Pen come il pericolo di una deriva neo-fascista che radicalizzi il dibattito politico in Europa con il ritorno del nazionalismo, l’islamofobia, il rifiuto delle diversità portate dell’immigrazione ormai strutturale e su cui la stessa Le Pen ha proposto tempo fa un referendum sul modello di quello celebrato in Svizzera.
Quanto sia controversa l’ascesa del Front National si è visto bene anche ad Andelys. Giovedì pomeriggio, a dieci giorni dalle Europee. L’appuntamento elettorale con Marine Le Pen è nella sala delle feste lungo la strada principale che taglia in due questo paese di nemmeno 9.000 abitanti a un’ora di macchina da Parigi. Due chilometri più in là, ma pochi lo sanno, gli organizzatori e la polizia preparano l’accoglienza in un’altra sala, più defilata dal centro: è lì che i duecento sostenitori della Le Pen si dirigono a un certo punto di corsa e in ordine sparso per cercare di depistare la quarantina di manifestanti che si era messa dall’altra parte della strada per contestare.
Un ragazzo francese di colore regge una bandiera dell’Ue, gli altri mostrano due striscioni: «Sì all’Europa, no al Fn» e «Il Fn è una minaccia». Fra loro c’è anche l’ex sindaco socialista di Andelys, Laure Dael, che spiega di ritenere l’Europa un’opportunità di progresso anche contro ciò che il Fn rappresenta. Alla fine, i due fronti (pacifici) non si perdono di vista e si ritrovano nel posto giusto. Li divide solo la polizia. Quando la Le Pen arriva, la fanno scendere dall’auto di fronte alla porta d’ingresso, uno dei tanti uomini di scorta tiene in mano anche un ombrello nero nel caso qualcuno le getti qualcosa addosso. Parte solo un coro di “buu” e di fischi, cui risponde un grido corale «Marine, Marine». La sala è stracolma, per l’occasione i simpatizzanti hanno portato torte fatte in casa. Non ci sono lineamenti stranieri, ci sono tante famiglie, anziani pensionati e giovani con grandi tatuaggi, molti vestiti con la tuta da ginnastica. Operai o ex operai, perlopiù.
«Queste elezioni europee – è il cuore dell’appello della Le Pen – non sono importanti solo per il nostro partito che per la prima volta può arrivare primo, ma sono importanti per il nostro paese. Il nostro è un popolo libero, fiero e ricco, ricco di storia e di tradizione. Voi avete una responsabilità importante: cercate i patrioti attorno a voi e dite loro che mobilitarsi è fondamentale». Alle pareti ci sono poster elettorali, ma nessuno sventola bandiere. C’è solo un tricolore francese sul muro. «Queste elezioni siano il trionfo della Francia e dei francesi», incita la Le Pen. Poi via, a stringere mani e a prendere un’altra bordata di buu salendo in auto verso la tappa di Evreux: questa volta i sostenitori del Front National sovrastano i contestatori intonando a una sola voce l’inno nazionale con le parole della Marsigliese.
Se i sondaggi saranno confermati, il Front National potrebbe dunque ottenere 23 eurodeputati, quando cinque anni fa ne aveva presi appena 3 con il 6,3% dei voti. Il partito di centrodestra, l’Ump, sarebbe secondo (mediamente è dato al 21,5%). E il Partito socialista del presidente Francois Hollande al terzo, con il 17,3% di cui lo accreditano i sondaggi. Se poi il progetto politico della Le Pen reggerà, al Parlamento europeo si formerà un gruppo delle varie formazioni di destra euroscettica: serviranno 25 deputati eletti in almeno 7 Paesi.
Non è detto però che ai numeri segua la rivoluzione politica. Potrebbero segnalare la protesta, la rabbia, la disaffezione degli elettori e basta. Lo si vedrà. Philippe Ridet, corrispondente in Italia del quotidiano Le Monde, ci fa notare che in Francia le elezioni europee sono le uniche con il sistema proporzionale, mentre nelle altre consultazioni il doppio turno rende selettivo l’accesso al potere. «Per le Europee parliamo di solito di un voto defouloir, cioè una valvola di sfogo, che prende dentro un po’ di tutto», aggiunge spiegando di non aspettarsi «tante conseguenze dal punto di vista della politica interna, anche perché non è la prima volta che un partito al potere viene sconfitto alle Europee». Il segnale di protesta sarà comunque da analizzare non solo in chiave francese, perché nel successo del populismo la critica ai detentori del potere che non sono riusciti a reagire alla crisi accomuna storie di delusione diverse. «Il Fn – osserva Ridet – può sfruttare due eventi, se si possono definire così. La destra, quando è stata al potere con Nicolas Sarkozy, non è stata in grado di mantenere le promesse sul piano sociale, anche se proprio Sarkozy è l’unico finora che può dire di aver ridimensionato il Fn. La sinistra del presidente Hollande sta facendo la stessa cosa, voltando le spalle a operai e impiegati per dare più risorse alle imprese. Insomma, il fatto che Marine Le Pen sia in testa è una non notizia: c’è una crisi di sfiducia della destra perché non ha una leadership e della sinistra perchè ha una leadership debole».
Sulla sfiducia invece verso l’Ue che la Le Pen ha saputo sfruttare, il corrispondente di Le Monde osserva che «i francesi hanno creduto per quasi cinquant’anni che il loro modello fosse il migliore in Europa, poi hanno dovuto fare sacrifici e si sono resi conto di non avere più la leadership: l’Europa ci è piaciuta finchè eravamo i primi e anche l’asse franco-tedesco non funziona più perchè la Germania, più forte, non ha bisogno di un alleato debole». Ora subentra un orgoglio nazionale sempre forte che porta gli elettori disorientati a reagire. «Rispetto al padre, Marine Le Pen – conclude Ridet – è riuscita a far passare l’idea che il Front National non è più il diavolo, ma se vorrà accedere al potere, qualche cambiamento prima o poi dovrà farlo». Perché serviranno alleati.
Alleati che la donna più in vista di Francia ha già intanto trovato, come detto, fuori dai suoi confini nazionali, accendendo speranze e timori. In Italia, con una destra priva di leadership, la Le Pen potrebbe essere quello che sul fronte opposto è il greco Alexis Tsipras per la sinistra radicale. Un modello di unità, ma anche di uscita dal ghetto in cerca di consensi trasversali.
Roberto Jonghi Lavarini, esponente della destra milanese e responsabile di Progetto nazionale, vanta «un rapporto politico trentennale» con il Front National francese: «Siamo il loro referente ufficiale in Italia». Rispetto alla leadership di Jean-Marie Le Pen, ci spiega, «non c’è alcuna differenza culturale e politica, è la tempistica che è diversa: è il tempo giusto per il messaggio del Fn, il terreno fertile è la crisi che stiamo vivendo». «Siamo autentici europeisti – continua disegnando la comunanza di valori fra le destre che guardano a Marine Le Pen – e proprio per questo siamo contrari a questa finta Europa che non è dei popoli e delle sovranità nazionali, ma è l’Europa della tecnocrazia, della burocrazia e della plutocrazia asservita agli interessi degli americani».
È qui che Jonghi Lavarini evidenzia come il naturale partner sia la Russia di Vladimir Putin e non certo gli Stati Uniti: «La Russia è un paese nazionalista, tradizionalista e con una forte identità religiosa». Ecco il modello. «Ma il messaggio – conclude – è trasversale, non stiamo parlando di destra o di sinistra, la Le Pen la votano anche da sinistra. Quando superi il 10% significa che hai rotto gli argini e puoi parlare liberamente».
Una lettura che offre anche Mario Borghezio, europarlamentare uscente della Lega Nord, che in questi anni ha tessuto i rapporti fra via Bellerio e il Front National. «Il concetto di destra o sinistra è superato, una Le Pen che prende il 30% – ci risponde al telefono mentre per la prima volta fa campagna elettorale, per la rielezione, fra Roma e la Toscana – prende il voto dei comunisti, dei disoccupati, dei poveri, anche dei moderati. È un fronte nazional-popolare». Quello che, a detta di Borghezio, dovrà diventare anche la Lega Nord di Matteo Salvini, che vede come un «nostro fronte nazionale con caratteristiche multi-regionali e polifoniche», tanto che già per queste Europee ha presentato liste in tutte le circoscrizioni italiane. Ecco perché, conclude l’esponente piemontese del Carroccio, «dal risultato di Marine Le Pen ci aspettiamo una spinta colossale, Nessuno si rende ancora conto che un Fn primo partito in Francia sarà uno tsunami di portata europea, il nostro gruppo sarà l’ago della bilancia al Parlamento europeo, saremo decisivi».