La guerra di Bruxelles per guidare la Commissione Ue

La guerra di Bruxelles per guidare la Commissione Ue

I dibattiti televisivi tra i «candidati presidente della Commissione» si susseguono, a Bruxelles grandi manifesti affissi su autobus e tram recitano «votando scegli tu chi guiderà lEuropa». Sembra bello, èdavvero nuovo, come ha scritto anche Linkiesta, eppure, curiosamente, a Bruxelles cresce sullo sfondo un controcanto che agli eurocandidati non piace affatto: e cioé il rischio crescente che alla fine nessuno di loro sarà scelto per succedere a José Manuel Barroso al timone della Commissione Europea, e che i leader scelgano qualcun altro.

Gli indizi, in questi giorni si moltiplicano. Ad esempio quando, alcuni giorni fa, il presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy ha apertamente criticato l’idea di «candidati di punta» alle europee da cui scegliere il futuro presidente, si sono infuriati Schulz e Juncker, mentre nessuno dei leader (soprattutto quelli che contano) ha proferito parola. Negli ultimi giorni, inoltre, si sta assistendo a un fuoco di fila soprattutto – guarda caso – di eurodeputati della Cdu tedesca, il partito di Angela Merkel, che mettono anche loro in dubbio il «metodo».

«Lisbona dice solo che “bisogna tener conto” dell’esito parlamentare – ha per esempio inveito Werner Langen – in realtà per il resto è tutto come prima, a decidere sono i governi, non sta al Parlamento Europeo indicare il presidente della Commissione». Certo, magari Langen dimentica che a indicare il nome di Juncker «candidato di punta» sono stati tutti i capi di governo aderenti al Ppe (tra cui Angela Merkel) al congresso di Dublino a marzo, come i leader aderenti all’Spe hanno scelto Schulz a Roma. Ma conta quel che conta.

parlare con i diplomatici tedeschi e non solo, del resto, tutti insistono su un punto: quel «tener conto» non implica alcun «automatismo». «Secondo il trattato di Lisbona – ha dichiarato la stessa Merkel alla Rheinischer Post – il Parlamento vota su un presidente della Commissione proposto dal Consiglio europeo, che ha tenuto conto dell’esito del voto. La procedura è chiara». Tutto qui. Finora invano gli alleati socialdemocratici hanno cercato di strapparle una chiara presa di posizione su chi davvero sostenga la cancelliera. Certo che «Juncker for president», lei non lo ha mai detto. Non è un caso se, soprattutto in casa socialdemocratica, che punta alla vittoria alle europee e a Schulz come presidente della Commissione, si sente puzza di bruciato. «Sarebbe la più colossale presa in giro dell’elettorato nella storia dell’Unione Europea» ha tuonato il leader Spd Sigmar Gabriel. E anche lo stesso Schulz ha messo in guardia: «sarebbe il miglior regalo agli euroscettici».

Sarà, ma intanto le voci si moltiplicano. Molti si chiedono ad esempio come mai il quarantaduenne premier finlandese Jyrki Katainen lo scorso aprile si sia dimesso assolutamente a sorpresa, dichiarando di essere interessato a «posizioni Ue». Questo non vuol dire che sia lui il prossimo presidente della Commissione, ma certamente deve aver capito che i giochi sono del tutto aperti. Non dimentichiamo poi l’opposizione britannica: David Cameron vede come il fumo negli occhi sia Schulz, sia Juncker. E questo non solo per antipatie personali, ma anche per un fatto di principio: Londra non tollera che si avvicini in alcun modo l’Ue al funzionamento di uno Stato, e dunque non vuol sentir parlare di «candidati» alla presidenza della Commissione eletti dai cittadini alle europee. E a dire il vero Cameron non è solo, Juncker non piace a tanti (fino al 2013 la stessa Merkel non faceva mistero di non gradirlo), i maligni sostengono che ha fatto il suo tempo e che la sua passione per l’alcol ultimamente sarebbe peggiorata. Uno, insomma, che si può «bruciare» senza problema. Quanto a Schulz, non ha mai rivestito una carica governativa di qualche rilevanza, mentre dai tempi della nomina di Prodi (1999) si sentiva ripetere che per questa posizione era ideale un ex premier (come il Professore e poi Barroso). Anche se, va detto, dovesse arrivare primo il Pse, per la Germania sarebbe più difficile dire no a un presidente di Commissione tedesco, e anche gli alleati di Berlino avrebbero qualche difficoltà in più a ostacolare questo scenario. Una cosa è chiara: anche se Lisbona in teoria prevede la scelta del nome a maggioranza qualificata, è difficile trovare un solo diplomatico che ritenga veramente politicamente fattibile scegliere a colpi di maggioranza un presidente che sia inviso a vari paesi, soprattutto se grandi e importanti come il Regno Unito. Che certamente avrebbe alleati – ad esempio gli irlandesi, lo stesso premier Enda Kenny (Ppe) è dato tra i «candidati» al Berlaymont.

Del resto, l’altra insistente voce di questi giorni a Bruxelles è che in realtà a molti piacerebbe, come segnale significativo, che fosse una donna a presiedere l’esecutivo Ue, dopo una sfilza di nomi esclusivamente maschili. Un anno fa era girato intensamente il nome di Christine Lagarde, il cui mandato di direttore del Fmi scade nel 2016. Il nome è riaffiorato in questi giorni, e si sa che la francese – nominata nel 2011 l’ottava donna più potente al mondo da Forbes – piace moltissimo ad Angela Merkel. Quanto a François Hollande, anche se lei è popolare e vicina a Nicholas Sarkozy, sarebbe comunque una francese al Berlaymont. Si vedrà. L’altro nome femminile che continua a girare è quello della premier danese Helle Thorning-Schmidt, che è però del campo socialista. Il suo svantaggio è però che Copenaghen non è nell’euro.

A questo si aggiunge che anche nel Parlamento Europeo nessun gruppo si è impegnato ad appoggiare il candidato dei rivali se questo avrà più voti. Al momento nei sondaggi sono in testa i popolari, ma chi dice che i socialisti appoggerebbero davvero Juncker? O viceversa? E senza questa «Grande coalizione» non ci sono i numeri per nessuno. Non a caso, il 27 maggio, due giorni dopo la chiusura delle urne, si vedranno i presidenti dei gruppi europarlamentari per consultarsi su quale candidato possa avere più chance – segno che anche per Strasburgo non è affatto scontato che sia o Juncker o Schulz. Della questione nel parleranno anche i leader a cena lo stesso giorno. Ma chissà, magari sono le solite illazioni dei giornalisti, magari alla fine i leader davvero sceglieranno il vincitore delle elezioni. Sarebbe davvero una rivoluzione

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